Una mia amica mi chiede cosa faccio, come sto. Le dico la verità: «Mi sono rotto le palle. Mi sono stancato di tutto, di chi scrive, delle librerie, dei distributori, dei compromessi, della boria di chi fa recensioni, della boria dei poeti, della falsità e scorrettezza dei concorsi, dell’ignoranza diffusa del pubblico, di chi ti chiede sempre favori, di chi ti manda manoscritti illeggibili o insulsi, di chi ti chiede di metterci la faccia, del clima viscido, fasullo, egoista, vanesio, intrallazzino e vacuo che si respira nei salotti della poesia, pieno di porci frustrati, vallette e bimbiminkia, di gente che ha potere e se ne gloria con discrezione e di altri che mostrano il culo al potere scodinzolando con naturalezza, di gente che non avendo né poesia né potere non fa che parlar male di tutti con quel senso di superiorità dei poeti postumi. Odio la poesia e il potere. Vorrei chiudere la casa editrice e andare a lavorare per qualcuno che mi paghi per fare quello che già faccio senza un soldo e senza un grazie. Voglio scomparire e respirare. Tornare a leggere soltanto per me stesso. E che facessero gli altri quello che non riesco a fare io». Fine della mia lamentazione. Lei mi risponde così: «Lillo ti prego no, poi non posso più dire che ho un amico editore. Tu sei il mio riscatto sociale. Non ti permettere». La prima risata del giorno.
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