Dopo una presentazione sono fermo alla fermata del bus per tornarmene casa. Mi si avvicina un vecchietto simpatico e mite che sbuffa senza pace mentre si trascina dietro due pesanti borse di tela piene di roba, e tanto per ammazzare il tempo mentre aspettiamo, attacca bottone con me e la bidella di una scuola che viene da un paese qui vicino, lamentandosi del freddo delle nostre zone e raccontandoci come nella sua città, a Bari, di oggi si mangia il baccalà con le olive, un sapore che gli manca tanto da quando sua moglie è morta e ogni viaggio verso casa è solamente un ritorno a metà. Il pullman è in ritardo. Parliamo a lungo, lui ride spesso con una particolare malinconia nello sguardo che mi attrae, deve aver sofferto tanto, poi, a un certo punto si avvicina alla fermata un ragazzetto di colore con le cuffie nelle orecchie e incappottato in un vecchio piumino rosso che risalta in maniera esagerata. Non ci conosce ma si avvicina a noi con un gran sorriso e dice “Buonasera, amico! Buonasera!” e mi dà la mano che stringo. Ci prova anche con il vecchio che però gli fissa il palmo e non ricambia, poi si va a mettere dietro di noi, contro un palo, tutto perso nella sua musica. “Tieni” mi dice il vecchietto e mi passa una salvietta umida che tira fuori da una scatola che tiene in una delle borse di tela che si porta appresso. Prendo la salvietta ma non capisco subito cosa voglia dire. Poi afferro, è per pulirmi la mano. “Questi negri ormai sono dappertutto” mi dice, fissando il ragazzetto senza paura di farsi sentire. “Salvini ha ragione!” aggiunge, alzando la voce. “Non mi piace Salvini” gli rispondo con tutta la diplomazia di cui sono capace. “Sono troppi, sono dappertutto. C’è bisogno di una regolata” dice ancora il vecchio. “Guarda quanti furti ci sono adesso in giro, non puoi distrarti che ti rubano la macchina, ti entrano in casa e sono sempre loro. Lo leggevo oggi sul Corriere. Ti entrano in casa come niente, questi negri. Le negre no, sono brave e si danno da fare, ma i loro maschi sono tutti delinquenti matricolati”. Io lo fisso imbarazzato, non riconosco più il malinconico vedovo di dieci minuti fa. Una persona così carina che usa la parola negro con una tale violenza repressa che non so descrivere. Sono educato e faccio finta di nulla, continuo a parlargli del tempo, degli orari scombinati dei pullman, si uniscono a noi anche la bidella e un altro paio di persone, ma evito di usare la salvietta. Quando arriva il pullman, il vecchio sollevato saluta quelli intorno, me compreso, con molta gentilezza, ringraziandoci tutti per la compagnia, e a tutti stringe la mano prima di raccogliere le sue borse. A tutti meno che a me. La mia mano non la tocca.
1 commento:
Che tristezza
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