Se un libraio denuncia che in un giorno non ha venduto nemmeno un libro, evidenziando il fatto che molte librerie stanno chiudendo, quel libraio diventa un caso nazionale, simbolo di una diffusa crisi della cultura. Ma se un piccolo editore dice che ci sono interi giorni dove non vende niente, gli viene detto che non è un buon imprenditore, dunque la colpa è tutta sua. Però, se il piccolo editore chiede aiuto all’autore, quell’editore è un ladro, perché dovrebbe campare vendendo i libri al pubblico e non all’autore. Proprio quei libri che, il libraio denuncia, non se ne vende nemmeno uno in un giorno. È la prima contraddizione di un sistema.
Ed ecco la seconda: nonostante le vendite zero, si pubblica troppo in Italia. Chi scrive questi libri? Chi li pubblica? Per chi? Non certo per il libraio che chiude.
E se non hai un sito di richiamo alle spalle – che serve a promuovere la tua immagine, ma non a vendere una sola copia in più – allora sei perduto nella massa: magari sei bravo, ma non esisti. Terza contraddizione, quindi: per essere uno scrittore oggi, più ancora che una scrittura, serve un’immagine. E serve un sito, o un amico che scrive su in sito. Uno a cui volere bene anche perché scrive su un sito.
E se non hai un sito di richiamo alle spalle – che serve a promuovere la tua immagine, ma non a vendere una sola copia in più – allora sei perduto nella massa: magari sei bravo, ma non esisti. Terza contraddizione, quindi: per essere uno scrittore oggi, più ancora che una scrittura, serve un’immagine. E serve un sito, o un amico che scrive su in sito. Uno a cui volere bene anche perché scrive su un sito.
L’ho fatto e lo posso dire: leggere (se lo leggi) e recensire un libro è un lavoraccio, quasi quanto pubblicarlo. Ti arriva un sacco di roba e devi scegliere nel mucchio, e in genere scegli, nella mancanza di tempo, quelli a cui vuoi bene, o che ti stanno simpatici, o che ti impone il direttore responsabile. C'è gente anche bravissima lì fuori che non verrà mai recensita perché: io non ti conosco, io non so chi sei. Eppure, ed è la quarta contraddizione, quando uno dei tanti giornali e/o riviste e/o siti letterari chiede un aiuto economico ai suoi lettori, perché anche i giornali chiudono senza un pubblico pagante, ci sono autori assai etici là fuori che non darebbero mai soldi agli editori, ma aiutano volentieri i siti letterari, ma non per il valore dei contenuti – ché a leggere i contenuti dei siti letterari siamo rimasti in tre, tre somari e tre briganti – quanto perché li hanno già recensiti o potrebbero recensirli; in nome, insomma, della libertà di espressione fuori dalle lobby della stampa, ma avendo ben a cuore gli amici giusti sul sito giusto.
Funziona così anche coi premi letterari, a cui spesso si pagano collettivamente, in tasse di segreteria, più soldi di quelli che effettivamente meriterebbero. Soldi, aggiungo, rubati al povero libraio che non vende. Tanto più che i premi seri – coi bei soldi – li vincono sempre gli stessi nomi, gli stessi editori, l’identica banda. (A tal proposito ricordo perfettamente un autore che mi contattò perché voleva gli pubblicassi un libro in meno di due mesi, appositamente per partecipare a un concorso con premio in denaro di cui conosceva intimamente due giurati).
E infatti, se molti di quelli che scrivono sui siti letterari o lavorano per i premi letterari, comprassero i libri invece di recensire o accumulare quelli che gli regalano gli amici scrittori o che ricevono in omaggio dalle case editrici – e succede anche a me, non sono migliore di altri in questo – per regalare all’autore il brivido di quel briciolo di attenzione, forse il libraio in crisi qualche copia di un libro la venderebbe in un giorno.
Magari, mi si risponderà, i critici non sono tutti uguali, magari non vanno in libreria ma non glieli regalano gli autori i libri, li comprano anche loro, come tutti. Ma allora, se come denuncia il libraio la libreria è vuota, dove li prendono questi libri? Ovviamente su Amazon, approfittando degli sconti. Perché ognuno si fa i conti in tasca, pure quelli che fanno i critici. Poi magari la sera vanno al cinema, a vedere l’ultimo film di denuncia di Ken Loach, e magari dentro di sé applaudono.
1 commento:
Non fa una plissè
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