Alla fine del 1828 scrisse […] I letterati romani erano noiosi, sciocchi, insopportabili. Tutti pretendevano di arrivare all’immortalità in carrozza, come i cattivi cristiani in paradiso. Per loro, il sommo della sapienza umana, anzi la sola vera scienza dell’uomo, era l'antiquaria: trovare un pezzo di rame o di sasso che era appartenuto a Marcantonio o a Marcagrippa. Non sapevano né il latino né il greco. Trafficavano la gloria: gloria invidiata, combattuta, levata di bocca l’uno all’altro. Discorrevano eternamente di letteratura come di un vero mestiere, progettando, criticando, promettendo, lodandosi, magnificando persone e scritti miserabili. Parlavano di cose frivolissime col massimo interesse, e di cose somme con la massima freddezza. Filosofia, morale, politica, scienza del cuore umano, eloquenza, poesia – tutto questo, a Roma, era straniero.
[Pietro Citati, Leopardi, Mondadori, 2016]
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