Stanotte ho sognato che, dopo molte ricerche, veniva fuori che l’erede dei principi di Locorotondo era un povero meccanico de’ Roma. Il quale faceva valere i suoi diritti in tribunale e ritornava padrone de’ tutto. Non solo, per rifarsi degli anni di magra, metteva un pedaggio su ogni cosa, persino su chi entrava e su chi usciva dal paese, ma più pedaggi metteva più la gente ci veniva per l’emozione di rifare da vivo la battuta di Troisi e Benigni in “Non ci resta che piangere”. A forza di battute ripetute all’infinito, il meccanico romano si faceva ricco alla faccia dei paesani. Si costruiva pure un castelletto in Valle d’Itria e da lì controllava ogni cosa, e metteva nuove tasse sulle case, sui bar e sui ristoranti, sui pizzuli dove pisciavano i cani. Persino per starnutire per strada dovevi pagare. E ovviamente si pagava anche per nascere col pedigree di cittadinanza. Questa tassa aveva un nome preciso: tassa sulla romanità de’ curdunnesi. Secondo cui chi meglio lo pagava più era romano e curdunnese.
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