La domenica mattina è il giorno che preferisco della settimana perché è quello che dedico alla lettura. Gli altri giorni in genere leggo la mattina presto, prima di accendere il telefono. La domenica leggo quasi tutto il giorno e mi ricordo perché voglio fare libri. Leggere i manoscritti degli altri ti ruba energia vitale, leggere i libri degli altri te la restituisce. Stamattina ho finito un libro di racconti di Fitzgerald. Dai venti ai trent’anni gli preferivo Hemingway, salvo che per Il grande Gatsby. Adesso che ho superato i quaranta, Hemingway continua a piacermi ma so che vive in un paese troppo lontano dal mio; a Fitzgerald, che è quasi un mio vicino di casa, di quelli che incontri ogni mattina al bar gli chiedi come vanno le cose e ti raccontano sempre la stessa storia condita dagli stessi guai con la moglie, mi sono affezionato, sento di volergli bene. Stamattina leggevo l’ultimo racconto della raccolta, “Il pomeriggio di uno scrittore”, che parla di questo quarantenne perennemente stanco e senza idee, in dubbio se quelle poche che ha sono buone o un nulla di fatto, che decide di uscire a farsi una passeggiata per vedere se viene ispirato e non viene ispirato da nulla, si guarda intorno e pensa che certo la vita è bella, ma è bella soprattutto perché lui non c’è dentro, è rimasto indietro. Al ritorno a casa, vede la finestra di casa sua dalla strada e si immagina di essere un altro, un lettore che spettegola su questo favoloso e celebrato scrittore: “Dev’essere fantastico avere un dono del genere – ti siedi con carta e matita, tutto qua. Lavori quando vuoi, vai dove ti pare”. Questo pensiero lo conforta e lo terrorizza per le aspettative che implica, ma Fitzgerald sa che è una fantasia. Ciò che gli resta sono i libri nella sua biblioteca e la possibilità di un sonnellino prima di cena. Eccovi dunque, nella malinconica disperazione di un altro filtrata dalla perfezione della letteratura, la mia vita riassunta in sette paginette e una domenica ancora tutta da riempire.
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