venerdì 22 luglio 2022

perdita

 Una delle esperienze più strane e straordinarie del fare l’editore di poesia è l’esperienza della perdita. In genere molta scrittura scaturisce da quella scintilla, perdi qualcosa e ne scrivi. Nella poesia questa perdita non viene stemperata nella struttura romanzesca, ma spesso è concentrata in diverse cariche esplosive disseminate lungo un testo breve. Dai fuoco alla miccia e il resto è una serie di esplosioni in serie e di ferite. Immagina la vita di un editore che, ad esempio, già sensibile al tema, in autunno dovrebbe pubblicare fra le altre due opere che parlano di perdita, in maniera spesso intima e commovente, entri da una porta nel dolore di una persona, tua simile, tua amica, lo attraversi e quando ne vieni fuori ti tuffi nel dolore di un altro tuo simile, tuo amico, per tirarne fuori un libro. È un continuo percorso nello scavo, in te, in loro, dove la differenza sostanziale fra i due la fa il linguaggio. Ti appigli a quello come a un salvagente, il linguaggio ti impedisce di affondare nell’umano e fraterno dolore. Poi esci dai libri, torni a fare il tuo lavoro, a fare i conti spicci con le entrate, con le uscite, con ciò resta di ogni libro dopo che è stampato e si tramuta in oggetto con un prezzo preciso e delle aspettative di vendita che spesso verranno deluse, ed entri in un nuovo circuito assai più prosaico, un nuovo tipo di perdita o di ammanco che fa rimbombare in terra quello dei libri che ti ostini a pubblicare non si sa più perché. L’editore è un santo. Altro che.

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