martedì 13 settembre 2022

per godard

Ci sono artisti con cui ti tocca di continuo fare i conti sul piano umano. E a certi artisti, assai intransigenti, tocca pure di dover fare i conti con l’uomo che li ospita. In questo Godard era un uomo che faceva i conti con tutti: sia con l’artista dentro di lui, che lo metteva di continuo in discussione; sia con tutti coloro che pur amando l’artista non gli perdonavano le sue evidenti manchevolezze di uomo, l’egoismo, la vanità, l’invidia, il livore, l’arroganza. Da questo punto di vista penso che Godard abbia avuto una vita di merda. Poi certo, in tanta contraddizione difficilmente si potrà trovare un altro come lui capace di captare i cambiamenti in corso, di stimolarti le sinapsi che collegano gli occhi al cervello fino a dare un nuovo colore alle cose. Mi irritava anche, spesso le trame dei suoi film erano esilissime, inconsistenti, eppure in ognuno ho trovato qualcosa che mi entusiasmava, una ripresa, un montaggio, una scena, un titolo, una soluzione innovativa che mi faceva rizzare i peli sulle braccia. Non era nemmeno ricerca gratuita o tesa a stupire, ma studio e amore assoluto per le infinite possibilità visive del mezzo cinematografico slegato dall’ottica della fiction. L’ho capito la prima volta quando ho visto La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer, che Godard adorava, solo per scoprire quanto di Dreyer ci fosse in Godard, anche quello un film tutto basato sulla ricerca visiva e lo sperimentalismo della visione, dell’inquadratura, del montaggio teso a scardinare le regole del tempo scenico. Perché Godard era un mostro onnivoro, guardava tutto, divorava tutto, persino i film di cui poi parlava male, ma come se li covava, prima, sotto le ali. Truffaut che lo conosceva meglio di ogni altro, glielo rinfacciava: Dici odiare questo o quel film, ma intanto li hai già visti tre, quattro, cinque, sei volte al cinema, se questo non è amore che cos’è? Fra i suoi, i miei preferiti sono Les Carabiniers e Une femme est une femme, oltre ovviamente ai classici, À bout de souffle, Le Mépris che in cuor mio (e con tutto l’amore condiviso per Fritz Lang) ho sempre pensato fosse una buona scusa per guardarsi il culo della Bardot. I primi insomma, anche perché chi li ha mai visti gli altri, quelli prodotti dopo gli anni ’60. Anche in questo che vita di merda ha avuto Godard, per sempre legato a una stagione e a una etichetta (Nouvelle Vague) finite da un pezzo, uno come lui sempre teso in avanti, senza rimpianti. Va pur detto, e va detto, proprio per tornare all’inizio, che Godard era uno stronzone come pochi, ha ragione Truffaut, ma tant’è per alcuni stronzoni chiudiamo gli occhi con più facilità che per altri, vanno oltre il giudizio umano per rifugiarsi nel giudizio critico o nell’amore incondizionato, e io Godard l’ho amato, come tanti, ma con tanta più forza vorrò bene a chi gli è stato accanto e si è caricato il fardello di sopportare i suoi capricci e le sue cattiverie di uomo anche per noi, senza che gli dedichiamo, nemmeno oggi, nemmeno un grazie.

Nessun commento: