La cosa per certi versi più commovente delle elezioni politiche è che la gente va a votare per questo o per quello, contro questo o contro quello, pur sapendo che alla fine sono sempre gli stessi e quindi domani, indipendentemente dal voto, non cambierà nulla. O se cambia, sarà “nonostante loro”, per qualcosa di più grande che subiscono. Ma allora perché si va a votare? Leopardi direbbe che lo fa per illudersi che ci sia qualcosa da fare mentre si aspetta di morire. Dudduzzo mi diceva invece che è perché agli italiani, come popolo, piacciono le competizioni, insomma vanno a votare e fanno politica con lo stesso spirito agonistico con cui seguono il calcio. E un po’ è vero. Poi, finita la competizione, tornano a essere un popolo di stronzi, di evasori e speculatori edilizi, di cattocomunisti, omofobi e un po’ razzisti, a cui non frega un cazzo del paese e se qualcosa va male subito invocano piazzale Loreto come rapida soluzione. Però, certo, il vero pericolo rimane la Meloni. Ecco sì, si dovrebbe andare al voto sempre e senza farsi domande. Votare come atto di fede. Poi dice che siamo anticlericali. Invece siamo talmente realisti che ci siano ridotti a trasformare un “diritto” di cui andare orgogliosi, una conquista democratica, in un semplice “dovere” che va fatto perché va fatto, un po’ alla cieca, senza capire bene perché, senza scegliere chi, prendendo ciò che ci danno al ribasso come in un outlet, anche se magari mi fa schifo, anche se non mi fido, anche se ogni volta devo turarmi il naso. E ogni volta non si muove nulla, non succede nulla. Sono anni che a ogni votazione scrivo post come questo, tutti ugualmente risentiti, e non cambia mai nulla fra un post e l’altro. Persino le parole ogni volta mi suonano più vuote. E mi chiedo perché me la prendo ancora.
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