di Michael Krüger
Nell’ultima luce c’è ancora un uccello
con le ali dispiegate sopra il ghiaccio
e lascia vagare il fuoco dei suoi occhi
sulla superficie pavimentata di bianco,
finché il buio lassù non lo sorprende.
Il lago ha un luccicore bianco. Io fumo.
Dove c’erano solide rive, stanno ritti
giunchi, che il ghiaccio non è riuscito a falciare.
Puritani resistenti alle intemperie al confine
fra terra e lago. Più in alto i pioppi.
Nella cavità sotto le loro radici
nidificano animali. Ascolto spegnersi
il sordo mormorio prodotto dal vento
che fruga negli steli. Non proprio
scuro né proprio chiaro, il crepuscolo
impregna il congedo della luce.
Proprio adatto alla grigia cappa di nubi
che unifica l’Europa: da Oslo a Napoli fino
a me. Sì, fino a me, l’adattato,
che per lungo tempo la fortuna ha amministrato:
che, come molti, non voleva parlare né
gradiva agire, che si lasciava scrivere,
per il quale le gocce d’acqua d’estate erano
congetture per riempire il testo – in modo che
lo si potesse far leggere. Lascia correre, sognatore.
Nella mia tasca noccioli di prugne, con la dolcezza
dell’estate; su un pascolo sopra il lago
sono stato seduto sull’albero accanto agli uccelli,
finché caddero. Tu vedi fantasmi,
ripetizione, morte. In verità la vita si è
solo raggomitolata per risparmiare energia.
In verità stai già da tempo dove si tirano le somme.
(da Dietro il confine, trad. Luigi Forte, in Di notte tra gli alberi, Donzelli, 2002)
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