Una volta ho conosciuto una poetessa che quando trovava una parola perfetta, cioè quella sola parola che poteva stare lì in quel preciso punto per dare al verso il suo senso più assoluto, si emozionava così tanto che scoppiava in lacrime. Io di lei apprezzavo particolarmente il décolleté ma non sapevo come dirglielo senza sembrare insensibile. Anche perché lei, quelle volte che mi vedeva meno ricettivo verso i suoi patemi artistici, si irritava dicendo che non la capivo. Ma una volta che ero a casa sua mi lesse un intero poemetto pieno di parole talmente ricercate che mentre leggeva le salì un singhiozzo in gola e cominciò a piangere come una fontana rotta. Leggeva e piangeva e fra una strofa e l’altra si soffiava il naso e io, a furia di vederla conturbarsi per i suoi versi, mi sono commosso con lei e ho cominciato a piangere e rubarle i fazzoletti per asciugarmi gli occhi, tanto che a un certo punto non si sapeva più se quel giorno in casa sua era nata una poesia o eravamo entrati in lutto. Poi, quando lei ha finito di leggere mi ha cercato la mano e stringendola mi ha detto: Antonio, finalmente mi hai capita! E io, tornato in me, le ho fissato il décolleté.
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