venerdì 20 gennaio 2023

consolazione

Stanotte nessun sogno a visitarmi, ma uno dei tanti attacchi di panico che mi hanno tenuto sveglio a lungo. Nell’attesa che arrivasse il giorno – visto che ieri si parlava di poesia meridionale – ho preso in mano un libro di Grazia Stella Elia, credo l’ultimo da lei pubblicato (I paràule di tatarànne, ed. FaLvision, 2021), scritto nel dialetto di Trinitapoli, e mi ha particolarmente commosso fra le altre una poesia, talmente lieve e semplice nel contenuto che non può che esistere nella sua lingua, la lingua è tutta la sua sostanza, proprio come i sogni. Questo il senso dei versi: “Non mi dice il cuore di andare a coricarmi, stasera, come se mio padre dovesse dirmi qualcosa. Lo sento avvicinarsi, farsi accanto alla mia sedia, incoraggiarmi, dirmi di andare avanti anche con questa pena che mi brucia in petto. – Figlia mia – mi dice con quella voce calma che aveva sempre – fatti forza nei pochi anni che ti restano, e fai le tue preghiere, prega Cristo e la Madonna, non perdere la fede”. La Elia l’ha scritta, come dicevo, nel dialetto di Trinitapoli, che è appunto la lingua dei “tatarànne”, degli antenati, e che resta sempre più una lingua per pochi perché, come scrive lei stessa in nota, nessuno che non la parli saprebbe rendere «il vero suono di una lingua nata per essere detta». Io, in questo, mi sento fortunato, da pugliese, di potermici almeno avvicinare. Scrive la Elia in introduzione: «La lingua primaria (il dialetto) è, a tutti gli effetti, educazione sentimentale. È destino delle parole “camminare”, fare strada, allontanarsi e talvolta non ritornare. La loro perdita ci rende più poveri». Il loro ritrovarle, però, il loro improvviso riapparire, anche per poche ore, com’è successo a me stanotte, fanno di noi il figliol prodigo che ritorna alla casa dei padri, e in qualche modo ci consola.

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