Confesso che sono molto curioso intorno a questo libro (Un doppio limpido zero, poesie scelte di Raffaele Carrieri, a cura di Stefano Modeo). Curioso per due motivi: da un punto di vista editoriale, perché vorrei capire come andrà sul mercato, considerando che Carrieri è sì a suo modo un “classico” ma pur sempre un classico minore, o di nicchia se si preferisce, uno che magari lo hai sentito nominare ma non ce l’hai presente come ad esempio un Montale. Lo stesso Modeo mi pare che lo scrisse da qualche parte: mi chiedo quanti lettori ha oggi Carrieri, e me lo chiedo anch’io sinceramente (ma questo va tutto a merito della collana). E proprio per questo sono curioso, come lettore, perché per quanto detto sopra io stesso lo conosco poco come autore; quel poco che so, lo so perché me lo hanno proposto in passato come poeta “meridionale” ma confesso che non sono mai riuscito a considerarlo propriamente tale. Per me un poeta “meridionale” è Toma, che non è mai andato via dalla sua Maglie, o Pietro Gatti di Ceglie, o Scotellaro, o Lino Angiuli tanto per dirne uno ancora vivo. E non lo dico con intento critico, ma quanto c’è di meridionale – mi chiedo – in un poeta che è sì nato a Taranto, ma ha partecipato giovanissimo all’impresa di Fiume con D’Annunzio, poi ha viaggiato per nave nel Mediterraneo, poi è stato in Francia, poi a Milano, per morire a Camaiore in Toscana. Mi sembra sempre un po’ una forzatura per poeti così irrequieti nell’animo dirgli “meridionali”, come un limitarli, un rivendicare per loro un’appartenenza a un qualche luogo che non hanno. Che poi non è nemmeno giusto per chi resta. Mi ricordo ancora una volta che fecero un sito in cui suddividevano i poeti per appartenenza geografica e tutti i meridionali indicati lo erano per ragioni anagrafiche, erano sì nati qui ma vivevano a Roma o Milano o altrove da più di vent’anni. Insomma, c’erano tutti i meridionali del mondo, meno quelli che facevano la spesa in un qualche paesino del Salento o del Gargano, o sul porto di Taranto o di Monopoli, o a Bari vecchia, e chi li conosceva, allora, quelli che vivevano al Sud? L’unica, mi sono detto, per avere un po’ di attenzione è continuare a scrivere, morire, e poi scontare trenta o quarant’anni di silenzio prima che qualcuno della generazione successiva, come appunto Modeo, ci prendesse a cuore e ricordasse che c’eravamo stati anche noi, ci dicesse bravi.
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