Una
volta, durante una discussione sul romanzo italiano, Carlo Bordini mi
disse che per lui il più importante romanzo del ‘900 e certamente il suo
preferito era “Il fu Mattia Pascal”, seguito a ruota dal “Gattopardo”.
All’epoca mi fece strano questa predilezione per la cultura siciliana da
parte di un romano, ma avendo letto quei libri al liceo non me ne
restava che la patina e quindi presi per buona la cosa e lasciai
perdere. Eppure la cosa ha continuato a
razzolarmi dentro per anni fino al punto che di recente ho ripreso in
mano “Il fu Mattia Pascal”, più per curiosità che per altro, e mi sono
sorpreso, nel rileggerlo, di quanto Bordini se ne sia servito per
modellare il suo “Memorie di un rivoluzionario timido” che pure è un
libro fortemente sperimentale sul piano del linguaggio – non a caso, credo, il
titolo omaggia e fonde ironicamente “Memorie di un rivoluzionario” di Victor Serge e “Memorie di un pornografo timido” di
Kenneth Patchen – lì dove Pirandello, all’opposto, era per una chiarezza
assoluta dello stile a favore dell’innovazione apportata dall’impianto
narrativo. Insomma, pur con le evidenti differenze di scrittura,
entrambi i libri si declinano in tre tempi con un primo tempo dedicato
alla vita di un uomo più che inetto (peraltro una finta vittima, venata
com’è di punte di masochismo nel descriversi nelle proprie mancanze),
che viene ingabbiato in meschine logiche famigliari che lo
incanagliscono e lo sviliscono fino al punto di attuare sottili
rappresaglie; poi per una serie di cause accidentali che subisce quasi
con un moto di accidia, perviene a una prima morte che lo rilancia in
una seconda vita semiclandestina (a Roma!) che lo avvolge nella sua cupezza
crepuscolare e irrisolta; infine sceglie di morire una seconda volta per
tornare alla sua vita precedente che nel frattempo, datolo per morto,
l’ha chiuso fuori da qualsiasi sviluppo, lasciandolo in uno stato di
morte raddoppiata a cui si arrende con una consapevolezza e una
rassegnazione quasi sospirate, che lo sollevano da qualsiasi
responsabilità e lo accompagneranno nell’attesa dell’ultima e ormai
quasi inutile morte fisica. I due romanzi si appaiano così in questa
sorta di ultra-morte venata sempre di ironia. Con la differenza che
quella di Mattia Pascal è una invenzione che si fa vera nella vita
vissuta da Carlo Bordini che vi si identifica fino al punto da
riscriverla nella propria autobiografia immaginaria (autofiction come si
dice oggi) che mi è servita per cogliere la verità nascosta nel
romanzo.
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