sabato 14 gennaio 2023

paisà 1860

L’altra sera, nella mia fissa di rivedermi tutta la filmografia di Rossellini, ho rivisto anche “Viva l’Italia”, del 1960, che è un film dedicato all’impresa dei Mille, ed è soprattutto l’ultimo lavoro di sceneggiatura firmato da Rossellini con Sergio Amidei. Il film che si può visionare adesso in streaming rispetto all’originale è stato accorciato di circa mezz’ora, alterandone pesantemente il ritmo, specie nella seconda parte (a mancare, guarda caso, sono un’intera scena con un acceso litigio fra Garibaldi e Mazzini, che avevano visioni ben diverse sul futuro dell’Italia, oltre a varie scene che descrivono gli intrighi di palazzo Savoia, più varie scene di costume tese a rendere il contesto sociale del meridione in rivolta). Ma a parte questo il film è molto accurato, specie nelle scene di battaglia. La cosa più interessante però, a posteriori, è stata scoprire come sia Rossellini che Amidei avrebbero voluto intitolarlo “Paisà 1860”, perché inquadravano l’impresa garibaldina in parallelo alla liberazione angloamericana del paese, ovvero come un fenomeno di “liberazione” operato da forze armate completamente estranee alla realtà sociale e politica del paese che andavano a liberare. Perché il regno borbonico dell’epoca era semplicemente un altro mondo rispetto a quello sabaudo. Dopo il film, per curiosità, ho rivisto anche alcune altre trasmissioni a tema, una di Piero Angela, le varie lezioni di Barbero (così non passo per neoborbonico) che è dichiaratamente un appassionato di Garibaldi ma spesso e volentieri sottace su errori, pressappochisimi o ingenuità del nostro, come se quelli non contassero mai nulla sulla bilancia della storia. Sarà. Ma resto convinto di questo: si può certo discutere sulla figura di Garibaldi, così come sulla buona o cattiva gestione dei Borboni al Sud, ma tolte queste due cose, una volta che si è stabilito, come credo sia stato fatto da tutti (persino da Barbero), che i Sabaudi arrivarono qui non da liberatori o da fratelli, ma da colonialisti, pessimi per altro nella gestione dello Stato, tanto da apparecchiargli il fascismo nemmeno cinquant’anni dopo, di preciso cosa ci resta da salvare del Risorgimento italiano? Gli ideali delusi? Tanto altro, lo so già, a cominciare dalle opere d’arte, da Verdi fino a Verga. Ma tolte quelle, sinceramente, se buttassero a mare tutte le statue e le targhe di Vittorio Emanuele o di Cavour nelle nostre piazze io mi sentirei più contento che non a vedere imbrattata quella di Montanelli.

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