L’espressione che va per la maggiore questa estate fra gli italiani è “poveracci”. L’imprenditore (ricchissimo) che denuncia pubblicamente la fidanzata che gli mette le corna è un “poveraccio”. Gli italiani che non rinunciano alle loro vacanze, anche se non hanno soldi nemmeno per il pieno di benzina, sono “poveracci”. Quelli che vanno in Albania e scappano dal locale senza pagare il conto sono “poveracci”. La premier che paga il conto per loro (80 euro) ma coi soldi di chi, è una “poveraccia”. Quelli che intanto servono ai tavoli con turni massacranti e malpagati sono “poveracci”. Le donne picchiate, massacrate e poi usate come materiale da Tg e approfondimento, per ricordarci che siamo ancora in grado di commuoverci, sono “poveracce”. Quelli che vivono in guerra sono “poveracci”, ma quelli che muoiono in mare sono “poveracci” due volte. Quelli che arrivano qui sui barconi sono, a detta di Feltri, “poveracci” e “straccioni”. Persino mio padre ammalato in questo sistema sanitario che dà tutto a tutti (chi lo nega) ma niente senza sputare veleno, è un “poveraccio”. Solo la Murgia si salva, che è “povera” ma non “poveraccia”. Un velo decisamente democratico si stende su di noi, sul nostro tempo, e ci fa tutti uguali in questa sorta di povertà morale, oltre che linguistica, più ancora che economica, dove il povero è “poveraccio” esattamente quanto il ricco. Altro che restare umani, siamo “poveracci” nel cuore. E io? Io sono ricco di fantasia, ma mi sa che anche quella da sola non basta a salvarmi dal disprezzo.
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