Leggevo ieri un articolo satirico di Flaiano, del 1956, in cui si dice: “Volete eliminare il Comunismo dal cuore delle persone? Allora fatelo studiare a scuola, perché se la gente a scuola cominciasse realmente a studiare il Comunismo lo prenderebbe in odio, oppure a noia, come fa adesso con Manzoni e con la matematica. Nessuno si allontana maggiormente dalle cose di chi deve studiarle alla scuola dell’obbligo!”. Ed ecco allora che pensavo stamattina che forse sbagliavamo quando si diceva che la poesia dovrebbe essere meglio studiata a scuola per essere più amata. No, la poesia per essere amata deve essere vietata, censurata, resa clandestina. Provate a dire che la parola poesia è bandita da ogni istituzione, che chi la pronuncia a scuola viene aspramente rimproverato, punito chi pronuncia Dante e bocciato chi ci aggiunge Ariosto, che a chi viene scoperto con un libro di Leopardi in tasca verrà fatto un richiamo scritto ai genitori come ora si fa per i vestiti, abbassata la media se reciti un verso di Ungaretti o di Montale anche per scherzo. Vedrete che il numero dei lettori di poesia aumenterà esponenzialmente e rimarranno lettori anche dopo, come adesso vedo miei coetanei che ancora ascoltano i Led Zeppelin senza vergognarsi. Poesia come ribellione allora, al potere, allo stato e alla scuola che lo rappresenta. Del resto ce lo insegnava già Limonov che la poesia attecchisce meglio dove non si può fare. Nella Russia sovietica la poesia girava clandestina in ciclostilati stampati in cucina, consegnati a mano col passaparola e guai ad essere fermati: se ti coglievano in flagrante, come con Brodskij, ti spedivano in Siberia, se scrivevi versi irrisori contro Stalin, come Mandel'štam, ti spedivano in Siberia. Eppure la poesia resisteva ed era ostinatamente felice.
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