Telefoni bianchi (1976) di Dino Risi, contiene una scena, a circa metà film, che
mi fa pensare al cinema di Buñuel e di Ferreri, in cui il divo Franco
D’Enza – interpretato da Vittorio Gassman che assume qui la maschera e i
lazzi di Alberto Sordi – fa uno scherzo perfido durante una festa a cui
ha invitato alcuni industriali arricchitisi alle spalle del regime.
Accende la radio per sentire il bollettino radio e si sente la voce di
Mussolini che comunica come nel giro di ventiquattr’ore
il partito fascista assumerà il controllo e statalizzerà tutte le
fabbriche e le banche del paese, pena la fucilazione per chi si ribella.
Gli invitati restano come congelati. “Ma non è possibile, è la rovina
del paese, siamo rovinati!” grida uno. Un altro lo rampogna: “Osate
discutere le decisioni del Duce? Che camicia nera siete?”. Il primo si
allontana intimidito. E un terzo: “Ah, se Mussolini si mette contro gli
industriali s’è ripulito!” A quel punto D’Enza, dopo averli insultati un
po’ chiamandoli “papponi” e gridando loro che “è finita la pacchia!”,
scoppia a ridere con cattiveria e rivela che era stato tutto uno
scherzo, la voce di Mussolini era stata falsificata così, tanto per
ridere. Tutti gli invitati si sentono sollevati ma dall’altra stanza
arriva il rumore di uno sparo. L’industriale che si era allontanato si è
ucciso. Gli invitati sono scossi, un paio di loro lasciano la festa
indignati, ma D’Enza cerca di minimizzare l’accaduto: “Si vede che avrà
avuto i suoi problemi, era fragile, poverino. Non ci pensiamo, non
facciamo un dramma, via i musi lunghi, arrivano gli spaghetti,
mangiamoci quelli” così gli altri restano a mangiare, col morto ancora
caldo nella stanza accanto.
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