Probabilmente è vero, dire che quello di Salvini è fascismo è una banalizzazione che non tiene conto né di cosa sta succedendo nel mondo, né dei bisogni reali della gente. Ma soltanto quattro anni fa Salvini veniva fischiato durante un comizio in piazza nel mio paesino orgogliosamente meridionale e ieri, in quella stessa piazza, è comparso il primo stand pro Salvini premier. Ne prendo atto, e sono quasi certo – perché la memoria è sempre troppo corta quando non conviene averla lunga – che presto in molti saranno pronti a saltare sul carro del vincitore e a esultare per il nuovo capo. Eppure quelli che ho visto ieri allo stand pro Salvini sono gli stessi che pochi anni fa tenevano il busto del Duce sulle loro scrivanie. Sono persone con una storia umana e politica un po’ più lunga di quella di Salvini e molto più radicata alla propria terra. Guardandoli mi sono chiesto se non siano loro a non aver capito cosa sta succedendo, se non sia l’intero paese a non aver capito che Salvini con un certo “glorioso” passato non c’entra più nulla, se non in chiave puramente formale o di facciata, e per il semplice fatto che il potere deforma le facce sempre allo stesso modo. Non per nulla «tutti quelli che fanno questo gioco / c'hanno certe facce che a vederli fanno schifo / che siano untuosi berlusconiani o grigi compagni del PD», come cantava Gaber appena l’altro ieri, senza distinzioni e senza appello.
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