Stasera, appena fatto buio, ho scoperto che c'è un nuovo ospite in giardino. È un piccolo riccio rossastro che si è rifugiato qui e adesso si sta mangiando un piattino di pasta. Qui intorno è ancora campagna, e così ogni tanto se ne ferma qualcuno prima di riprendere i suoi giri. Così, visto che è arrivato oggi, ho pensato di chiamarlo Carlo. Ieri, leggendo i tanti post che gli hanno dedicato, ho visto che molti lo descrivevano come una persona discreta. Forse perché non alzava la voce ed era capace di grandi silenzi. Ma io personalmente ho un’altra esperienza di lui, di uno che coltivasse l’apertura. La prima volta che ci ho parlato, gli avevo appena scritto una mail, mi ha chiamato dopo nemmeno mezz’ora al telefono e abbiamo parlato. Io dalla Puglia e lui da Roma. Abbiamo parlato di poesia e di lavoro, non ho mai scritto una sola poesia sul lavoro mi ha detto, ma come se fosse una cosa a cui non aveva pensato. Ma soprattutto abbiamo parlato della situazione degli immigrati nel mondo, un argomento che invece aveva a cuore, tutta questa gente che cerca un posto dove vivere e i profondi problemi che deve affrontare per arrivarci. Non faceva più politica, diceva, ma aveva una visione politica del mondo. E questa politica cominciava appunto da loro. E da cosa potevamo fare noi per loro. Citandomi una sua poesia, mi ha detto: E noi che scriviamo poesie, cosa possiamo fare? Io non lo so. Ma la poesia serve proprio a questo, a dirsi E noi cosa possiamo fare? Io non lo so, ma per stasera ho accolto un riccio, ed è un inizio.
2 commenti:
Ciao, dovresti scrivere un libro su queste telefonate
michele lenzi
il problema non è scriverlo, come sempre è pubblicarlo, però apprezzo l'apprezzamento, michele :)
Posta un commento