Per una serie di motivi legati alla situazione del Libano in questi mesi, negli ultimi giorni mi è capitato di parlare e voler rivedere un film di qualche anno fa, Valzer con Bashir, molto bello, che parla del massacro di Sabra e Shatila nel 1982. Il regista era all’epoca un soldato di diciott’anni arruolato nell’esercito che partecipò a quell’eccidio e poi ha letteralmente rimosso per vent’anni quanto successo fino a dover fare una serie di interviste ad altri soldati per recuperare quei ricordi e rielaborarli in un film, quindi presentare quest’opera che parla del senso di colpa di chi esegue degli ordini che non capisce, occupa un paese precipitando in un clima di follia e anche quando si rende conto del male che accade, pur non partecipando in prima persona alla strage, sceglie di non vedere, di girare la testa dall’altra parte diventando complice. Credo ci sia voluto molto coraggio e maturità per arrivare a fare un film così che scava nella propria carne. Ma il bello è stato questo, negli ultimi giorni, parlando di questo film con tre diversi amici, tutti e tre pur conoscendo il film hanno avuto un moto di stupore nell’accorgersi che il regista Ari Folman fosse ebreo (credo tuttora residente a Tel Aviv) e nessuno sulle prime ha creduto che un ebreo potesse fare un film così: tutti ricordavano l’opera in sé come atto di denuncia, ma avevano dato per scontato che a farlo fosse stato un avversario dello stato israeliano e non un interno, e così a loro volta avevano rimosso l’identità del regista nello stesso modo in cui lui aveva rimosso per anni il ricordo del suo alter ego in divisa in cui non era più riuscito a riconoscersi.
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