Stamattina ho fatto l’esperienza di guardare attraverso le foglie del limone. Raccoglievo, insieme a mio fratello, i frutti dell’albero. Eravamo infilati fra i rami stretti, avvolti dall’ombra cupa del muretto intorno, con le spine che s’infilavano nel collo o sui polsi, ci graffiavano le mani quando ci allungavamo verso quelli più lontani, di un giallo sporco e butterato e macchiati di verde. Mio fratello, che stava arrampicato un metro o due più in alto, si è stirato e con un colpo di forbice ha potato un ramo per far passare la luce. Si è aperto il cielo sopra di noi, di un azzurro cordiale, luminoso. Molto in alto sopra le nostre teste, alzando il collo, ho visto il sole passare attraverso le foglie spesse, toccarmi il viso, baciarmi sulla punta arrossata del naso. Mio fratello, senza voltarsi, ancora concentrato sui rami da tagliare, ha portato la mano indietro, verso di me che stavo alle sue spalle, e quando la mia mano ha raggiunto la sua mi ha lasciato cadere nel palmo due grossi limoni che stavano in cima, oltre la cappa di foglie. Erano limoni maturi, di un giallo acceso, abituati a guardare il cielo, così mi hanno riempito la mano e strofinandoli fra le dita si è sprigionato il loro odore, a respirarlo mi è sembrato che anche il cielo sapesse di limone.
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