Ieri
leggevo un’inchiesta pubblicata sul Sole 24ore: la natalità degli
italiani è al suo minimo storico, in compenso siamo il primo paese
europeo per arrivo di immigrati. Allo stesso tempo siamo uno dei paesi
più ignoranti della propria cultura, ce ne gloriamo senza sapere perché.
A rincarare la dose, un’altra inchiesta uscita in contemporanea – l’ho
letta su Repubblica, ma l’hanno condivisa in tanti – dice che quest’anno
rispetto al 2023 ci sono 900.000 lettori in meno, o per
povertà o per estinzione. Tutto questo mi rattrista enormemente. Hai
voglia a seguire le panzane allarmistiche del governo sulla
regolamentazione degli immigrati, ma se tutto questo non è accompagnato
da una adeguata politica culturale, io penso solo che non si può
arrestare un flusso naturale di persone giovani e vitali in un paese
vecchio e prossimo al suo collasso. Forse altrove si chiederebbe a
queste persone di imparare la nostra lingua e la nostra storia per
preservarle insieme alla loro. Ma io ho amici insegnanti che mi
raccontato di classi con stranieri abbandonati a se stessi
nell’incapacità di comunicare. Molto presto la nostra lingua, che è
nulla più di un dialetto su scala globale, per quanto nobile sia, priva
com’è di cura da parte dei suoi stessi parlanti, sarà completamente
abbandonata e dimenticata senza troppi patemi. Io la vedo come la mia
sconfitta, come la prova ultima che il meglio che ho da offrire a questo
mio paese in termini di linguaggio, di poesia e letteratura non solo
non è capito né gradito, ma è perfettamente inutile e presto diventerà
incomprensibile come il latino e il greco. Una lingua morta.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
sabato 7 dicembre 2024
lingua morta
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