Ho sognato d’essere una casa, d’essere piantato nelle colonne nei muri, coi topi svelti, e respirare dalle mie prese d’aria trasudando nelle giornate più fredde, stavo nei divani del boudoir nei cuscini leziosi, guardavo di fuori la vista sul paesaggio mozzafiato stando ben proteso nei balconi, ne assorbivo gli odori che risalivano dagli aranceti e dal mare, ed ero nella lingua dell’uomo che guizzava rossa e svelta sul mio letto alto antico ricamato e nella brutta statuina che nuda veniva trasportata nel post coito di stanza in stanza fino ad essere nascosta dallo sguardo, ero nella lingua rossa che spiavo con invidia da un mio buco speciale nel muro, in basso oltre il divano, nel cuscino rosso e spesso su cui poggiava il capo freddo la donna in pietra bianca, ero nel rosso che drappeggiava le pareti, nella carta da parati, ero nel pugno di rabbia o di sconforto che arrivava a colpirmi quando il tipo che viveva dentro me era lasciato solo, ero la casa e il tipo, ero nel cugino prelato che arrivava a benedire il moribondo e si prendeva una sberla destinata a un altro.
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