Perché tu mi dici: editore?
Io non sono editore. Io non sono che un infimo
impresario che prende
il tuo libro e lo vende. Poi piange.
Non vedi? Non ho che lacrime da offrire al Mercato.
Il tuo libro non vende abbastanza: sì e no cento copie.
Non basta nemmeno a ripagarne la spese.
E se prima del macero nessuno lo legge
un albero è stato abbattuto per niente.
Non ti senti lo scrupolo in corpo?
Un albero abbattuto per niente!
Come faremo a sbarcare il lunario?
Perché tu mi dici: editore?
Perché io ti dico: poeta?
Cos’è che mi spinge a remare controcorrente
se non ho nemmeno una prova
che ciò che tu scrivi rimane alla storia?
(Pietà di noi mi prende: infinita pena e angoscia
di chi sempre dispera del futuro
e di un’altra… chi osa dire un’altra storia?)
Oggi io penso di morire. Tu questo lo scrivi.
Ma mi accompagni alla porta
e mi lasci da solo ad uscire. Da solo a finire
il lavoro.
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