Parlando di giornata internazionale della donna, ho
visto ieri sera Sick of Myself (2022) di Kristoffer Borgli e al di là dell’estremizzazione
di alcune situazioni (col volto deformato di lei che in fondo è un’attualizzazione
“social” del ritratto di Dorian Gray, con la ragazza che, come in una sorta di
patto insano, più degrada nella morale e di contro aumenta nella fama, più si
fa orrenda in viso, lì dove il suo viso e la sua immagine coincidono, sono la
stessa cosa), devo dire che il film mi ha fatto soprattutto pensare al cinema
di Antonio Pietrangeli, uno dei nostri registi meno conosciuti eppure uno dei
più lungimiranti, che alle donne ha dedicato i suoi film più belli. Proprio come
le varie eroine di Pietrangeli (in particolare quelle di Nata di marzo, La parmigiana
e Io la conoscevo bene), che sono donne immerse nel tumulto dei primi anni Sessanta,
quando il primo boom economico stava sconvolgendo ogni rapporto sociale e famigliare,
Signe, l’eroina di Borgli, è una donna incapace di “accontentarsi” di ciò che
ha fino al punto da inventarsi delle strategie di “guerriglia” basate sull’inganno
per far emergere la propria personalità sulle altre in una sorta di gara col
proprio compagno, ma sempre tendendo a un nuovo squilibrio che rilanci la
partita in avanti. Anche il compagno di Signe, Thomas, come tutti gli eroi di
Pietrangeli è inadeguato alla situazione che vive e pertanto si ritrova a mostrarsi
per quello che è, un uomo debole, profittatore, furbo, vanitoso, vittimista, continuamente
in gara col proprio ego come i vari Nino, Piero o Roberto di Pietrangeli, o l’Adolfo
di La visita che nella sua abiezione è l’unico a mostrare un po’ di luce nel
momento stesso in cui si scopre, di fronte ai rimproveri di Pina, e ammette di
essere un mostro. Signe invece, come le varie Francesca, Dora, Adriana, è patologicamente
bugiarda, egoista, pronta a tutto per ottenere qualcosa che nemmeno lei sa
definire, e soprattutto per niente simpatica, tanto che lo spettatore può anche
capirla, provarne pietà, ma non riesce a empatizzare con lei, allo stesso modo
in cui lei non riesce a empatizzare con gli altri, se ne sente di continuo
distaccata e tutto si riduce a una osservazione più o meno coinvolta di se
stessa nell’altro. Due squilibri, quelli di Signe e Thomas, che proprio come
nei film in bianco e nero di Pietrangeli, non si riassestano appoggiandosi sull’altro,
ma anzi raddoppiano la propria carica autodistruttiva e portano così all’infelicità
o a una posticcia felicità di entrambi. Meglio allora la solitudine. Aggiungo
come nota di colore che il viso della Ferragni truccata come Joker uscita sull’Espresso,
mi ha fatto pensare soprattutto a un incrocio fra la Signe di Borgli e l’Adriana
di Io la conoscevo bene di
Pietrangeli (interpretata da Stefania Sandrelli) che piange lacrime di rimmel .
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