Una figa mi ha scritto su Instagram di scrivere una poesia sulle sue tette. Io la seguo perché fa dei selfie buffi in bagno in cui si mette in equilibrio su una gamba davanti allo specchio. Nulla di strano, ormai, c’è chi gira per ore intorno a un palo e chi fa lo yoga in bagno. Ieri però mi scrive, dopo un mio post sul cinema muto, che il suo film preferito è “Il gabinetto del dottor Caligari”. – Io sono estasiato, abbiamo due cose in comune, il cinema espressionista tedesco e le tue foto al cesso. E siccome l’assonanza tedesco/cesso mi piace abbastanza, credo che ci scriverò una poesia. – Lei allora mi dice “dovresti scrivere una poesia sulle mie tette”. – Io resto di sasso, non so bene che risponderle. – Te l’ho scritto, mi chiarisce, perché ti seguo anche su FB e ora mi aspetto che ci scriverai una delle tue storie. – Quasi ci resto male, pensavo mi mostrasse le tette, invece le posso soltanto immaginare. – Anzi, continua, devi scrivere “Una figa mi ha scritto su Instagram di scrivere una poesia sulle sue tette” così se scrivi figa fa più effetto. Mi puoi anche taggare, dice. – Insomma, certe volte mi sento come l’autore di Pirandello, dove i personaggi delle sue storie prendono il sopravvento su di lui e fanno tutto loro, dal suggerirmi le battute al taggarsi nei miei post. A me, proprio come l’uomo-camera di Christopher Isherwood, non resta che registrare ciò che vedo, senza nemmeno il conforto delle tette. Che vita ingrata.
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