Parlandone con alcuni autori e qualche amico, e sperimentandolo sulla mia stessa pelle, sto arrivando alla conclusione che la famosa sigla TQ che qualcuno si era inventato in alcuni circoli romani per indicare una certa generazione di scrittori italiani accomunati da alcune tematiche o tendenze, sarebbe più adatta a definire un'ampia fascia di poeti delle ultime generazioni, che hanno cominciato a pubblicare, quasi tutti, intorno ai trenta e poi fra alti e bassi hanno esaurito la loro vena – o meglio ancora la loro voglia di partecipare a un dibattito comune intorno alla poesia – intorno ai cinquanta. T e Q, allora, da intendersi come alfa e omega, punto di avvio e di chiusura di un percorso, magari caratterizzato da un certo talento, ma percepito dai più come inutile o incompreso; da cui appunto si autoescludono per delusione, frustrazione o disgusto, rabbia o mancanza di un’adeguata aggressività a farsi spazio. I più, pur continuando a scrivere, rinunciano a pubblicare, altri si dedicano al silenzio anche per lunghissimi periodi. In un paesaggio narcisistico come pochi sembra quasi impossibile arrivare a tanto, eppure, come editore, io più invecchio e più ne incontro.
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