Ogni tanto qualcuno mi dice: “Eh, ma che ci vuole? Dai un’occhiata ai primi due o tre testi e lì capisci subito se è un buon lavoro o meno”. Va bene, ma dopo che hai fatto questo e ti restano scremati 52 libri dignitosi di persone che sanno scrivere, tu che fai? Li pubblichi tutti? Alcuni editori farebbero così, chiedendo all’autore di contribuire alle spese di stampa e addio remore selettive e problemi di natura economica (peraltro sono buoni libri, quindi non si parla nemmeno di pubblicare scartini). Altri preferiscono rileggerli per bene per farsi un’idea migliore del progetto, puntando su quanto gli piace il libro più ancora che sul suo potere di marketing. Per arrivarci, però, quando hai 52 manoscritti davanti, anche a leggerne uno al giorno per valutarli con la giusta attenzione e poi metterli a confronto, non servono forse due mesi di lavoro? Per arrivare a cosa? A sceglierne 3 o 4 da pubblicare (scatenando spesso il risentimento degli altri 48 scartati) che, se anche andrà bene, non venderanno mai abbastanza copie da compensarti per tutto questo tempo speso a sceglierli e per tutto il tempo dopo utilizzato per trasformare un’idea in un oggetto commerciale senza mercato? Davvero, certe volte penso che il lavoro editoriale sia qualcosa a metà tra K. (colpevole e pieno di rimorsi per qualcosa che non ha saputo fare, ma nemmeno lui sa definire) e Tafazzi, con la prevalenza del secondo sul fronte economico.
Nessun commento:
Posta un commento