Siamo così abituati a pensare a
Luigi Comencini come “il regista del bambini” o quello degli estivi Pane,
amore e fantasia e Pane, amore e gelosia o ancora di Pinocchio o di Tutti a
casa, da scordarci a volte di quanto il suo percorso artistico sia stato ancora
più sfaccettato di così. Comincia infatti con due notevoli noir (Persiane
chiuse e La tratta delle bianche) che strizzano l’occhio ai gangster movie
americani ma sono soprattutto pregni di umori francesi e tedeschi, con veri e
propri omaggi al cinema di Fritz Lang, ma sorprende ancora di più in una
pellicola quasi sperimentale e di nessun successo commerciale, La valigia dei
sogni del 1953, che nella sua commovente dichiarazione d’amore al cinema muto
italiano è quasi un antecedente diretto di Nuovo cinema paradiso. Il film
comincia e finisce con un breve documentario del 1949 dello stesso regista (Il
museo dei sogni) e racconta la storia di un vecchio proiezionista che, per
passione, salva dal macero vecchie pellicole che per gli altri non hanno nessun
valore né artistico né documentario (si parla del dopoguerra). La maggior parte
della pellicola è costituita dalla proiezione degli spezzoni salvati di questi
vecchi film che vengono descritti e analizzati dalla voce del proiezionista, e
assicuro che sono la parte più bella dell’opera. Ma i film, girati nei primi
del ‘900, sono tutti realmente esistiti e fanno di questo lavoro un vero e
proprio tentativo di meta-cinema il cui apice è l’emozionante proiezione dei
frammenti dell’unico film girato con Eleonora Duse, Cenere del 1916. Parlando
di meta-cinema, lo stesso Comencini fu un collezionista accanito di vecchie
pellicole e insieme al regista Alberto Lattuada tra i fondatori della Cineteca
di Milano.
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