Mio zio la chiamava la timidezza delle ciole, che sollevano il braccio solo quando l’affare le interessa. Io di ciole non ne vedo così tante quando esco, ma qualcuna c’è sempre, di quelle che magari ti conoscono da una vita ma siccome volano alto se ti incontrano per strada fanno finta di non vederti. E le vedi che sono a disagio se compari, perché non vogliono parlarti, non vogliono nemmeno dirti ciao; e siccome nessuno è immune da peccato, lo riconosco, ogni tanto lo faccio anch’io. Però una cosa è una ciola bipolare, di quelle che vanno in giro a fasi alterne, un’altra è la ciola di professione, di quelle che vanno sempre dritte per la loro strada, solitarie oppure in piccoli gruppi in cui tu non sei compreso, le ciole doc. Le vedi che ti annusano da metri e metri di distanza e man mano che ti avvicini si fanno timide, piccole piccole, si raggrinziscono fra le gambette toniche come per nascondersi, mimetizzandosi dietro gli occhiali per non farsi notare, e fissano ostinate in avanti come se avessero torcicollo e collare, attente a non sporcarsi se incrociano il tuo sguardo, e se per caso lo incrociano subito gli viene il singhiozzo o perdono la voce. Perché se mostrano appena appena di averti notato allora sono fregate, la buona educazione è più forte e devono salutarti per forza, con o controvoglia, per non passare dalla parte del torto, quella dei cafoni che non si sentono di essere. Te lo concedono sì quel ciao, ma a quale prezzo.
Nessun commento:
Posta un commento