Io sono malato. Mio padre è malato. Mio zio è malato. Mia zia non è malata ma ieri è inciampata in una buca per strada e si è fatta male al ginocchio. Volevamo portarla in ospedale, che qui non c’è più, è nel paese vicino, ma lei ci ha detto no, e poi chi sta con vostro zio (che è allettato), per cui è tornata zoppicando a casa. Io più vado e più vedo tutti ammalarsi. Ognuno ha le sue teorie per questo: mio padre si è convinto che è stato il vaccino a precipitarlo nel male, il mio amico Martino allarga il tiro, lui pensa che è nel cibo che mangiamo e nell’aria che respiriamo che è nascosta l’insidia. Se il mondo intero è malato non puoi che ammalarti anche tu che sei nel mondo, sei parte dell’ecosistema, e io gli do ragione. Ci sono cure? Una volta Johnson, emigrato dal Ghana che è stato per poco mio allievo, mi disse una cosa: Ognuno deve prendersi cura di sé per essere benedetto da Dio. Ognuno deve fare la sua parte per sé e per gli altri, impegnarsi il doppio. Ieri Draghi – che per un certo periodo è stato incensato del titolo di Superuomo – ha detto, con la faccia tosta di uno Schettino, che il paese è malato ma in qualche modo ce la farà. O come mi dice il medico scherzando: finché non diventi giallognolo vai tranquillo, c’è speranza. La colpa, dal mio punto di vista, non è nemmeno di Draghi, non ha chiesto lui di stare lì, lo hanno tirato per la giacca quelli che erano lì prima di lui e ora ci chiedono il voto per far meglio di lui con identica faccia tosta. Altri sono disposti a scordarselo questo, io no. Io vedo solo malattia, non cura, non speranza. E penso che chi continua a fidarsi senza tregua delle solite facce (“che a vederle fanno schifo”, Gaber) si merita la malattia e l’estinzione. E infatti.
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