Fantasma
(1922) di Murnau sviluppa in due ore circa una storia appassionante ma
che ha dell’incredibile. Giovane integerrimo poeta sogna – e le scene
oniriche sono il fiore all’occhiello del film – il grande amore e di
pubblicare il suo libro. Per questo va da sua zia che fa l’usuraio e
chiede un prestito per stampare il libro che la zia, desiderosa di un
riscatto sociale, incredibilmente concede. Ma il poeta, lasciandosi
corrompere dal denaro, scorda i suoi buoni propositi e spende
tutto con una puttana. La zia usuraio venutolo a sapere lo minaccia: o
restituisce i soldi oppure lo denuncia. Offre addirittura una terza
alternativa: chiede i diritti sulle vendite del libro, cosa che ti fa
chiedere quanto cacchio vendevano i libri di poesia ai primi del 900 in
Germania. Ma il poeta confessa che è stato tutto un bluff, non c’è
nessun libro, nessun riscatto sociale per la zia usuraio che si adira.
Il poeta e il suo complice provano prima a rapinare la zia di notte e
poi, scoperti, la uccidono, finendo in prigione. Insomma, in quella
sorta di confusione dei ruoli di cui il film è zeppo, viene fuori che
l’usuraio era quasi il buono e il poeta il quasi cattivo della storia.
Poveri poeti! Nota da segnalare, la sceneggiatura assai intricata e
piena di colpi di scena che rimandano al feuilleton è opera di Thea von
Harbou, moglie di Fritz Lang. Si vede e bisogna dargliene atto, perché –
a causa delle sue simpatie naziste – si tende a scordare il suo ruolo
fondamentale nell’evoluzione del cinema espressionista tedesco, e non
solo per aver scritto Metropolis.
Nessun commento:
Posta un commento