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giovedì 28 dicembre 2023

un tempo piccolo

Mi capita spesso di discutere con gli autori in merito alle copie da stampare del loro prossimo libro. Più o meno succede così. Ogni volta che valuto un libro se penso che quel libro non venderà più di 50 copie ne stampo 200. Se penso a 100 copie ne stampo 300, e così via. Ma, salvo rari casi, non vado mai oltre le 400 copie. Loro mi chiedono ogni volta perché non ne stampiamo 1000, il numero perfetto. Perché 1000 non le vende quasi più nessuno, dico io che conosco i numeri, quello è un retaggio del secolo passato, di quando la gente comprava i libri, o i dischi, e andava al cinema e a teatro, perché non aveva ancora i social e le fiction per riempire il tempo. Anche fra chi scrive e legge conosco poche persone che sanno parlarmi con competenza dei nuovi libri in uscita in un mercato definito selvaggio (e per cui non hanno mai abbastanza soldi, infatti non comprano, chiedono i libri in regalo e poi si lamentano che l’editoria non paga), però ne conosco a decine che sanno elencarmi tutte le fiction in abbonamento streaming che divorano a stagioni con annesse e puntuali notazioni critiche, perché se un mondo lo frequenti ti formi un gusto, e ne sai anche parlare. Anche questo è un segno dei tempi. A volte penso che gli autori non si accorgano nemmeno che è cambiato il loro/nostro tempo, sempre più stretto, marginale, e il loro è diventato uno spazio non di nicchia, ma di scarto. Non è nemmeno colpa loro, semplicemente alcuni vini sono per pochi palati, e ad altri piace la birra. Tu sei palato da birra o da vino? chiedo loro per consolarli. In genere si buttano tutti sul vino. Solo uno, una volta, mi disse di essere astemio e si offrì di rollare una canna.


domenica 31 luglio 2022

i tempi dei corrieri

Autore che mi manda sua proposta sabato ore 9.00 chiedendo conferma di lettura. Mi riscrive domenica ore 9.00 per dirmi che sono un bel cafone a non avergli ancora risposto dopo 24 ore. I tempi dei corrieri, ormai, dettano le regole del mondo.

mercoledì 1 aprile 2020

onore

Lo dicevo prima a un amico che mi parlava di alcuni testi prodotti a caldo, in queste settimane, da alcuni autori, più o meno amati, ma che comunque hanno una voce, una visibilità. Siamo ancora emotivamente coinvolti, è vero, ma per quello che ne penso io, la cosa più bella, alta e vicina a una poesia uscita in e su questo periodo è la canzone di Bob Dylan, il che però non fa onore ai nostri poeti, molti dei quali gli rinfacciavano il Nobel come immeritato. Il dissenso si dimostra coi fatti, non con le recriminazioni.

mercoledì 25 luglio 2018

parola chiave

Stamattina pensavo che fino ad appena due anni fa la parola chiave, quella che più veniva usata per decodificare i tempi era "crisi", mentre adesso è "fascismo". Non si sente altro che "fascismo", ritornato presente, e poi ovviamente "straniero". Così che certe volte, a furia di sentirselo dire, uno si sente straniero in casa sua. Ecco, sarà che ho fatto un brutto sogno, ma stamattina mi sono svegliato con la sensazione di una sorta di ricorso storico in atto: per cui alla crisi segue il fascismo e al fascismo segue la macellazione del bestiame. "Macello" potrebbe essere la prossima parola chiave per decodificare il presente. Ora bisogna capire chi fa il capro espiatorio sull'altare del ricorso storico e chi affila i coltelli. E poi pensavo anche a come è facile sbagliarsi in questo gioco di ruoli, a come esercito ogni giorno su me stesso la più ferrea disciplina per non cascare nel mio intrinseco fascismo made in italy. E, nonostante tutto, qualche volta inciampo.

domenica 15 novembre 2015

una poesia di bertolt brecht (sempre utile ai tempi che corrono)

A QUELLI CHE VERRANNO

Davvero, vivo in tempi bui!
La parola più innocente è folle. Una fronte distesa
indica insensibilità. Colui che ride
probabilmente non ha ancora ricevuto
la terribile notizia.

Che tempi sono questi in cui
un discorso sugli alberi è quasi un reato
perché comprende il tacere su così tanti reati!
Quel tipo che attraversa tranquillo la strada
è forse meno raggiungibile dai suoi amici
che soffrono?

È vero: mi guadagno ancora da vivere
ma credetemi: è un caso. Niente
di ciò che faccio mi dà diritto a sfamarmi.
Per caso sono stato risparmiato. (E quando cesserà la mia fortuna
sarò perduto).

Mi dicono: mangia e bevi! Accontentati perché ne hai!
Ma come posso mangiare e bere se
ciò che mangio lo strappo a chi ha fame, e
il mio bicchiere d’acqua manca a chi muore di sete?
Eppure mangio e bevo.

Mi piacerebbe anche essere saggio.
Nei vecchi libri scrivono cosa vuol dire essere saggio:
tenersi fuori dai guai del mondo e passare
il nostro breve tempo senza paura.
Anche fare a meno della violenza
ripagare il male con il bene
non esaudire i propri desideri ma dimenticare,
tutto questo è ritenuto saggio.
Tutto questo non mi riesce:
davvero, vivo in tempi bui!

[…]

Voi, che emergerete dalla marea
nella quale noi siamo annegati
ricordate
quando parlerete delle nostre debolezze
anche i tempi bui
dai quali voi siete scampati.

Camminavamo, cambiando più spesso i paesi delle scarpe,
attraverso le guerre di classe, disperati
quando c’era solo ingiustizia e nessuna rivolta.

Eppure lo sappiamo:
anche l’odio verso la bassezza
distorce i tratti del volto.
Anche l’ira per le ingiustizie
rende rauca la voce. Ah, noi
che volevamo preparare il terreno per la gentilezza
noi non potevamo essere gentili.

Ma voi, quando sarà venuto il momento
in cui l’uomo sarà amico dell’uomo
pensate a noi
con indulgenza.

sabato 6 settembre 2014

sui social

Sono sempre più convinto, ma smentitemi se sbaglio, che a molti di quelli che esaltano Twitter (ad oggi il social più figo in circolazione, per la sua capacità di essere sintetico, letale e al passo coi tempi), e ci regalano ogni mattina perle fresche di saggezza o battute tanto fulminanti quanto salaci, se gli chiedi di sviluppare il loro pensiero in un temino lungo dieci righi, il pensiero gli si scianca fra il quinto e il settimo rigo e poi muore per mancanza di ossigeno intorno all'ottavo. A dieci righi di fulminante bravura non ci arrivano. Loro, ovviamente, rispondono che il problema è dei tempi, che non ammettono si perda tempo a leggere quando invece si dovrebbe vivere. Peccato che ormai buona parte della vita la si passi attaccati a uno smartphone. Persino in bagno, certe volte c'è lo smartphone ed è finita la carta igienica. Ed ecco la contraddizione insanabile: da una parte internet esalta il pensiero libero, purché breve e ironico, al massimo scorretto ma con brio, dall'altra nega il pensiero articolato, perché annoia, non tira. Che cosa tira, allora? Il pelo, sempre solo quello. Fotografato e poi postato in tutte le sue salse. Perché si sa, sempre meglio il pelo che un pensiero figo che non dice nulla o quasi. Ed ecco perché la gente alla mano preferisce Instagram.