lunedì 15 gennaio 2024

tecniche di basso livello

 Ieri ho finito “Tecniche di basso livello”, prima parte di “Low. Una trilogia” di Gherardo Bortolotti (Tic, 2020) che il mio amico Giulio Maffii definisce un capolavoro. È il primo libro suo che leggo e in realtà è scritto benissimo in questo linguaggio ibrido che non è né poesia né romanzo, o meglio romanzo senza fiction, colto per brevi illuminazioni d’esistenza, prosa in prosa appunto, e al contrario di quanto dicevo in un precedente post, superato il primo stordimento, si capisce di che parla, anche se alla fine importa relativamente. La sensazione più straniante che se ne prova deriva dal fatto che alla fine non c’è un solo verso (se di verso si può parlare), non una frase o meglio ancora un frammento, che mi ricordi più o meglio degli altri, ma solo un’atmosfera generale. È come ascoltare un disco ambient, dove la sensazione d’insieme vale più del ritornello o dell’assolo, come andarsene in giro nel traffico con le cuffie, separati dal mondo anche mentre lo si osserva, con questa sorta di osservazione concentrata dalla musica. (L’accostamento con la musica, ovviamente, perché Low fa pensare a Bowie e alla sua trilogia berlinese). Mi sono chiesto, io che vengo da una generazione che impara a memoria e si ripete come amuleti i versi più esemplari di Montale, Sereni o di Fortini, se questo può essere uno dei futuri della poesia, questo dirigersi dal verso verso l’atmosfera, con tutti i rischi che il poetico prenda il posto della poesia, lì dove non sia misurato dal talento di un Bortolotti. Altra osservazione, più casuale. Il libro è suddiviso per frammenti numerati, non in ordine crescente ma sparpagliati e a coppie (33-34; 249-250; 15-16 ecc.) con alcuni numeri mancanti, non si sa se per caso o un base a una scelta particolare. Questo tipo di numerazione mi ha ricordato il frammento 56 di Bordini, che è presente in “Poesie color mogano” (Tic, 2019) ma che prima ancora era presente come finale di “Memorie di un rivoluzionario timido” (Sossella, 2016). Mi sono sempre chiesto perché quel finale che sembrava staccarsi per atmosfera emotiva dal romanzo, ma così importante per B. da essere ripreso con lievi modifiche anche nella sua (pen)ultima raccolta. E perché proprio 56? Ora mi ritrovo, rileggendolo, perfettamente immerso nella stessa atmosfera del libro di Bortolotti: ha più senso atmosferico inserito qui che non nello stesso libro di Bordini, come se fosse stato un gancio con l’opera o forse meglio ancora con la generazione dell’altro (alla numerazione del cui libro manca, ma forse appunto è solo un caso, il numero 56). Del resto “Tecniche di basso livello”, che è uscito la prima volta nel 2009, è in tutto e per tutto un titolo perfettamente bordiniano.

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