Sto leggendo in questi giorni FUOCO E GHIACCIO di Robert Frost nella traduzione di Silvia Bre (Adelphi, 2022), che è oggettivamente un’opera bellissima, oltre a essermi cara per motivi del tutto personali. La leggo, però, e considerato come sia stata una delle uscite più osannate degli ultimi due anni, continuo a chiedermi come ha fatto un librone di versi (550 pagine) completamente dedicato al rapporto con la natura e alla vita in bosco intesa come metafora esistenziale a piacere così tanto in un Paese come il nostro dove questo particolare genere lirico, che un tempo aveva una tradizione ed è ancora assai praticato all’estero, oggi manca quasi del tutto. Ci sono ovviamente delle eccezioni, ma io perlomeno, in dieci anni e passa che faccio l’editore, avrò incontrato sì e no una decina di autori che esplorano le stesse tematiche puramente ambientali, dove per ambiente si intende il bosco, o la montagna. Qualcuno parla ancora di mare, ma è come se la geografia silvestre o rurale dell’Italia interna fosse stata del tutto rimossa dal nostro immaginario o dalla nostra vena poetica. Vedere adesso tutti questi poeti commossi per i paesaggi naturali americani espressi da Frost mi fa un po’ strano. Poi certo, il potere della letteratura è anche questo, di farti sognare luoghi in cui normalmente non andresti mai.
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