Un amico che sa quanto amo questi pezzi di colore, mi ha appena segnalato un gustoso post di Antonio D’Orrico in cui D’Orrico prende a prestito la stroncatura di una sua amica all’ultimo libro di Trevi e lei, parlando dell’irresolutezza irritante dell’autore/personaggio Trevi nel romanzo, lo definisce, con un termine inelegante e credo desunto dal siciliano, un “minchiamorta”. Qui, confesso, ho cominciato a perdermi, perché io sono di formazione un postnovecentesco e quindi stando alla descrizione della ragazza Trevi l’avrei definivano semplicemente “inetto”. “Minchiamorta” però, è vero, è più colorito e D’Orrico prende a prestito la definizione per dire che ci sono in giro altri autori “minchiamorta” e così cita molti romani (quelli che sbavano sullo Strega), torinesi (quelli che sbavano per Einaudi, ad es. Paolo Giordano) e milanesi (quelli che sbavano su tutto il resto, ad es. Paolo Cognetti). E qui ho fatto ancora più confusione, perché non ho capito se D’Orrico usa la parola “minchiamorta” per definire quegli autori stanziali che gravitano parassitariamente intorno ai luoghi di potere editoriale, oppure quelli che a tali luoghi fanno il piedino in maniera finto disinteressata, come se fosse la versione maschile di “gattamorta”. Già quest’ultima definizione, però, non c’entra nulla con la stroncatura a Trevi. Insomma, detta così, se vivi fra Roma e Torino e sei uno scrittore di successo sei condannato di default a essere una “minchiamorta”, o mi sbaglio? Non ne parliamo se nel frattempo hai pure vinto lo Strega! Ma di “minchiamorta”, aggiunge D’Orrico, ce ne sono tante anche in provincia, mica solo in città, vedi ad esempio Franco Arminio… E qui però io mi sono perso definitivamente sul significato autentico della parola, perché che io sappia Arminio si lamenta tanto ma sta sempre in giro, come una trottola lanciata, il suo mi sembra il Neverending tour di Bob Dylan, altro che irresoluto! Ma anche Cognetti, gli puoi dire tante cose sui suoi libri, ma è uno che fa le escursioni in alta montagna, è stato in Tibet come Brad Pitt, e si beve da solo una bottiglia di whisky per fare a gara col fantasma di Hemingway! Io che a malapena esco di casa la domenica sono certo più “minchiamorta” di loro. Eppure, mi dico, visto che sto molto lontano dal potere editoriale, ignorato dallo stesso potere come l’ultimo scartino, potrei anche definirmi un “minchiaviva”, che ne so, o un “minchiatanta” per citare Frank Zappa. Ma poi, mi chiedo, e se fosse una donna l’oggetto del contendere, si può dire che quella scrittrice è una “minchiaviva” pure lei? O suona maschilista e inelegante? E se ci mettiamo la schwa? Insomma, cari amici siciliani, me la sapete dare voi una spiegazione? Che caspita significa “minchiamorta” in letteratura?
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