Ne parlavo prima al telefono col Corsi, non so se sia stata una scelta concordata o meno – a me sulle prime ha lasciato perplesso – ma l’idea del titolo dell’intervista ad Arminio sul Corriere, sullo scrivere “dopo aver mangiato pesante” (corrispettivo prosaico dello scrivere con un peso sullo stomaco, o come si dice qui da noi con la jura addosso, il folletto che di notte ti si pianta sopra e ti toglie il respiro e il sonno) è stata una gran trovata pubblicitaria per farsi finalmente condividere un articolo proprio dai poeti che non lo amano, ma che sono forse quelli che, con lo scopo di irriderlo, l’hanno maggiormente spammato, più dei suoi stessi follower. Purché se ne parli dunque? Visto che nessuno legge più nessuno o quasi, mi verrebbe quasi di dire sì. Del resto il pubblico di Arminio, quello che gli compra effettivamente i libri, non è certo fra i poeti (che notoriamente comprano pochissimi libri di poesia), ma dall’altra parte, dalla parte proprio di chi odia i poeti, li trova ridicoli o non li capisce, non ne capisce i codici, ma ne sente ugualmente il bisogno (perché il poeta, vuoi o non vuoi, è un archetipo sociale: una società senza poeti è una società morta) e allora sceglie di affidarsi a quest’autore che asseconda un po’ troppo i gusti del suo pubblico, che non è il pubblico risicato dei poeti, con tutti ciò che ne consegue: io ad esempio non scorderò mai una volta che una signora, che evidentemente non frequenta abitualmente il mondo della poesia ma segue Arminio, lo rimproverò in un commento di aver scritto una (buona) poesia sulla morte, perché la morte è una cosa brutta e triste e non se ne dovrebbe parlare in versi. È uno strano cortocircuito, a modo suo. Di certo, e questo posso dirlo visto che mi ritrovo anch’io dall’altra parte della scena, di poeti che condividono con piacere interviste ad altri poeti che non siano loro o qualcuno dei loro o qualcuno che vogliono portarsi a letto, io ne conosco veramente pochi.
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