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mercoledì 21 giugno 2023

le cose da fare

Chissà perché il giorno dopo, le cose che dicevi le faccio domani, sembrano sempre un pochino più difficili da fare del giorno prima.

giovedì 6 giugno 2019

le cose

– Quando sono in accordo con le cose, – disse il signor Keuner, – non sono io a capire le cose, sono le cose che capiscono me. 

(Bertolt Brecht, Storie del Signor Keuner, Einaudi 2008)

domenica 30 ottobre 2016

pensierino zen

Sono così abituato a non usarlo che stamattina che mi serviva ho perso quasi un’ora per cercare il fon, per poi scoprire che era esattamente lì dove l’ho lasciato l’ultima volta circa dieci anni fa, accanto allo specchio. Semplicemente avevo smesso di vederlo.

mercoledì 2 luglio 2014

un uomo arrugginito

Quest’uomo si era preso per i capelli e si era buttato fuori da tutti, laggiù in un mulino abbandonato in fondo a un viottolo ripido come una cascata di sassi che rotolano per il dirupo.
Lui sempre solo e con gli orecchi, nelle notti di neve, ad ascoltare i lamenti delle volpi e a guardare le orme dei cinghiali. Finché ha scoperto che tanti oggetti più arrugginiti di lui erano dispersi per le strade, rifiutati dall’umanità. Allora si è messo a raccoglierli e a radunarli attorno a sé. Camere ormai piene di questi relitti accatastati anche negli armadi scuri che grattano il soffitto con le creste di legno fradicio o dentro bauli sgangherati che racchiudono boccate d’aria di vecchi indumenti.
Sul pavimento sporco di calcinaccio e sul piano della stufa economica coperta di liquami induriti: bottiglie, chiodi, tappi, sveglie senza più controllo del tempo, trappole, coperchi, catini sfondati e roba purchessia. Oltre la scala di legno, il letto carico di un lenzuolo attorcigliato a una coperta densa di sudori militari. Con le pareti attorno macchiate di muffa e coi santi che spariscono dai quadri sbilenchi appesi sopra il comodino che regge una lampadina fulminata piena di aria polverosa.
Ogni sera tutti questi poveri resti gli erano attorno solidali quando il camino riempiva di fumo anche gli occhi delle zanzare e lui era seduto, avvolto nell’impermeabile di tela cerata, e pensava a tutti gli animali che stanno chiusi nelle tane della terra.

(Tonino Guerra, da Il vecchio con un piede in Oriente)

venerdì 21 febbraio 2014

le cose non accadono...

Le cose non accadono
tendono a una direzione
affacciate dal balcone
verso l’interno vuoto di una stanza.

lunedì 17 giugno 2013

la morte dei nonni

Uno è morto di sera, sognando la pioggia che oscura e rinfresca l’estate, ma senza avere più sete.
L’altro nel suo letto ortopedico, col becco rivolto alla finestra e le tende chiuse. Com’era bello nell’abito scuro, elegante come da tempo non si vedeva.
Fuori la strada è tappezzata di manifesti, annunciano la fine di un’era senza importanza, una storia di uomini che portano con sé pochi oggetti riposti negli angoli della bara: il tagliaunghie, il rasoio, lo spazzolino da denti, il cappello e il fazzoletto intonati, il portafogli di pelle consunta, gli occhiali, il mazzo di carte da gioco. L’orologio fermo ad un’ora. Le sigarette messe da parte, per un ultimo tiro, otto anni prima.

sabato 11 maggio 2013

possesso

C’è una ragazza che ha deciso di cancellare ogni parte di sé dalla mia vita.
Così, per eliminare ogni traccia, mi dice di distruggere tutto, ogni poesia o dedica, ogni foto che le ho fatto. Lei stessa ha già provveduto, senza nemmeno informarmi, a regalare in giro i miei regali. Sei troppo legato alle cose, mi dice.
Le dico di no, non voglio distruggere nulla, sono mie creazioni. Lei allora mi nega il permesso di usare qualsiasi foto contenga la sua immagine e chiude la conversazione con un grazie. Ma la domanda resta a lungo nell’aria. Di chi è quell’immagine fotografata?
È sua perché la rappresenta? E dunque la foto di una strada o di un gatto o di un mazzo di fiori è proprio della strada o del gatto o dei fiori? E non mia che ho fissato il momento, l’incastro perfetto di luce e sentimento?
Quell’immagine è anche mia, penso. Ma spiegarle che per me, nel suo essere perfetta e bidimensionale, la fotografia livella tutto, ogni moto del cuore, ogni storia allo stesso linguaggio, risulta già più complicato.

giovedì 11 aprile 2013

lieviteranno

                                           per Daniela Andreis

le cose piccole intorno
e tracceranno utili mappe
alla salvezza, stelline
del primo mattino, di carta

quando sfiancante pare alzarsi
e dirsi è nuovo il giorno
e tutto ciò che sei
tutto quanto ti rimane di te

sta chiuso in un bicchiere
nel nontiscordardimé
alla finestra, o mette radici

nelle tue impronte digitali
lasciate fin da ieri a danzare
sulla superficie delle cose.

venerdì 22 febbraio 2013

il paradiso perduto


Il cancro del tempo ci divora, scriveva Henry Miller nell’incipit di Tropico del Cancro. Dobbiamo metterci al passo, passo serrato con la morte. È una verità così evidente, e allo stesso tempo scomoda, che parlarne troppo diventa indice di cattivo gusto. Siamo condannati, aggiunge Miller citando Rimbaud, non cambierà stagione.
Quello della fine del tempo è un concetto a cui ci hanno ben abituato i poeti da quando, con l’Illuminismo, la poesia ha cominciato a rifiutare come illusoria l’idea di Paradiso e a viverla come un’ambizione impossibile, frustrante. Tutto ciò a cui possiamo aspirare, dicono, è un lungo ed estenuante Purgatorio, in cui le poche gioie sono da spremere al contagocce dalle semplici cose intorno a noi, che con grazia francescana abbiamo il dovere di ricominciare a osservare, proprio nel secolo in cui guardare e basta è un’operazione talmente svalutata da non servire più a nulla.
Da sempre gli artisti, e in particolare i poeti, si sono assegnati il compito di salvare gli attimi vissuti e rilanciarli in avanti. Proprio per la difficoltà di tale compito spesso le loro opere richiedono ai lettori impegno e disciplina, ed ecco perché in una società sempre più pigra e al contempo rapida com’è la nostra, hanno perduto ascoltatori e fiducia. Perché fermarsi ad ascoltare un messaggio di pessimismo senza ambizioni?
Eppure già fare poesia è un’ambizione. E contro ogni pessimismo, o forse proprio per quello, fra le poche e spudorate gioie riservate dai poeti c’è la vendetta. Nessuno sa usare le parole per ferire meglio di un poeta. Una feroce vitalità che irrora l’animo, sia quando a essere insultato è l’amante di turno sia quando lo è il sistema che ci comprende tutti per quello che siamo, dei precari del tempo.
In questo il poeta, primo fra gli inetti, non fa sconti per nessuno. Dante ne condanna parecchi all’Inferno che, nell’immaginario comune, resiste ancora bene. E Montale scatena su di loro Clizia, mai più angelo né diavolo, perché ne faccia piazza pulita di fronte alla storia. Pene terribili insomma, per chi non può rispondere o non vuole. Ed è il silenzio di chi magari non ha nulla di particolarmente originale da dire, ma non fiata nemmeno per ricordarci d’essere, pur brevemente, stato: il peggiore degli sprechi.
Fatevi sentire, anche solo per riconfermare il vostro no. Perché, come rispondeva Brodskij all’anonimo giudice che gli chiedeva, per sminuirlo, chi mai lo avesse arruolato nei ranghi dei poeti: “Nessuno. Chi mi ha arruolato nei ranghi del genere umano?”

Articolo uscito su Largo Belllavista n°67, febbraio 2013, nella rubrica Senilità. Foto, di Anders Petersen.

lunedì 18 febbraio 2013

l'amore è una maschera oscena...

L’amore è una maschera oscena che fa le boccacce dai sogni.
Quando ce l’hai ti manca. Quando non ce l’hai ti manca uguale.
In ogni caso è un’assenza più che una presenza ed ha sempre un peso.
L’amore gira intorno alle cose. Ma se le centra qualcosa non torna.
Il vaso colmo si rovescia e l’acqua bagnerà il tappeto.