giovedì 27 febbraio 2025

feltrinelli

Oggi ero a Bari e siccome pioveva mi sono riparato alla Feltrinelli, così già che c'ero mi sono fatto un giro nel reparto Poesia, a cui hanno dato più spazio fisico, per vedere che offriva, e devo essere sincero per tutto il tempo che sono rimasto lì ho pensato CHE NOIA, infatti poi mi sono girato e me ne sono andato sorridendo alla cassiera ma senza comprare nulla. Ma noiosa non è la poesia, noiosa era l'offerta. Di poesia bella ce n'è tanta in giro però come tutte le cose belle non puoi aspettare che ti caschi addosso, devi prendere e andartela a cercare. Se cominci a fare così vedrai che poi le Feltrinelli le userai soltanto per ripararti dalla pioggia.


mercoledì 26 febbraio 2025

affinità

A volte penso che autori ed editori si scelgano non solo perché seguono una ipotetica linea editoriale, ma anche per affinità elettive. La settimana scorsa, ad esempio, ho proposto a un’autrice di andare a leggere le sue poesie a un festival, mi ha risposto: Scusami, non è nelle mie corde. Ieri, poi, chiedevo a un altro autore se voleva essere iscritto col suo libro al premio Strega Poesia, mi ha risposto: non ci tengo allo Strega, a meno che non siano loro a chiamarmi. Che, lo confesso, è ciò che avrei risposto anche io al posto loro. Non mi interessa, meglio di no. “I would prefer not to”. I miei autori e io siamo una casa editrice anche per questo.

spreco

Da ciò che vedo, la massima parte dei commenti a giovani poete che mettono la faccia su IG sembrano fatti col copia-incolla e dicono tutti più o meno SEI BELLISSIMA! proposto indifferentemente da uomini e donne con diverse sfumature di significato. Qualcuno/a più coraggiosamente azzarda un SEI BRAVISSIMA! Ma ne leggessi mai uno a cui scappa un guizzo in più, che so, QUEL VERSO MI HA TRAFITTO IL CUORE, o che provasse a entrare nel merito di una poesia per dire la sua senza apparire molesto. Eppure, non so perché, le giovani poete preferiscono IG a tutti gli altri social. Forse perché non devono scrivere troppo, chissà. Aggiungo che questo post riguarda soprattutto le donne non per misoginia, ma perché in genere ai poeti su IG nessuno scrive mai nulla di interessante, in genere i poeti su IG non se li caga nessuno. Al massimo se hanno un amico si fanno delle battute criptiche che le capiscono in due. Insomma, scrivere di poeti su IG è noioso. A meno che non siano Francesco Sole, che scrive appunto alle donne: "Ricorda, a volte hai solo bisogno di sentirti 'sprecata' e non rifiutata. Fidati che è un dettaglio che cambia tutto!" e per questo prende più di 12.000 like. Le donne su IG, ne deduco, si sprecano un sacco.

lunedì 24 febbraio 2025

foto

A forza di pregare perché accadesse, un'autrice mi prende in parola e invece della solita Bio mi manda una foto in costume da bagno, riaffermando la giustezza del detto che del poeta non si butta via nulla.

il viaggio più lungo verso l'esistenza

Fra decine di articoli e discorsi che si ascoltano e spesso si contraddicono fino al punto che non si capisce più dove siano finite verità equilibrio e giustizia su quanto succede oggi in Ucraina, mi è venuto spontaneo tornare a rileggere un libro uscito alcuni mesi fa che dice sulla guerra più delle mille analisi che si potranno mai sentire. È, attenzione, un libro di poesie, scritto da Iya Kiva e tradotto da Yulia Chernyshova e Pina Piccolo, intitolato La guerra è sempre seduta su tutte le sedie (La vita felice, 2024). Scritto fra 2019 e 2024 è una sorta di reportage in versi, in presa diretta, dal cuore del paese in guerra, da parte di una donna nata in Donetsk che deve sopravvivere ogni giorno ai bombardamenti. È un libro duro, diretto, ma non sprezzante, che non rinuncia alla ricchezza di un linguaggio e di un immaginario tanto lirico quanto allucinato, in grado di declinare la guerra in ogni sua sfaccettatura. Evitando di trasformarlo in un atto di accusa, o mera propaganda, riesce a descrivere la guerra come uno stato esistenziale che si prende ogni spazio della vita (“e sono già tre ore senza guerra / sei ore senza guerra / e se non arriva la guerra prima che faccia notte / non possiamo fare il bucato senza la guerra”) che descrive la situazione di chi da troppo tempo vive con l’ansia del nemico alle porte, della prossima guerra in arrivo, di una violenza che matura nell’aria e ti scoppia in faccia. Vengono meno le case, le città, le foreste ucraine, viene meno il sonno nei rifugi, viene meno l’acqua la cui assenza si fa dolorosa siccità, non manca mai il sangue, né i morti che parlano continuamente coi vivi: “la guerra è la grande sconfitta della cultura / sussurrano queste parole […] ma la ruggine erbosa dei crimini di guerra cresce nelle loro bocche”. In questo modo, evitando qualsiasi retorica, l’opera riesce a scatenare nel lettore degli interrogativi a cui non c’è risposta. Anche accettando l’idea che ogni guerra è un corpo estraneo e mostruoso, come si perdona un crimine di guerra a chi lo commette? Che posto potrà avere domani alla mia tavola chi ha incenerito la mia casa? Nel suo restare perfettamente al centro della guerra, in quella bolla di distruzione dove il corpo raccoglie su di sé ogni cicatrice, ne fa memoria, il libro della Kiva è straordinario e terribile, perché sospendendo il giudizio sul nemico, l’odio catartico per il nemico che mai viene nominato, rivolgendo ogni suo pensiero alla guerra che assurge ad assoluto da cui non si potrà più uscire, dove l’Ucraina è trasformata in un ghetto “circondato di sangue e di grida di pianto”, dall’odio, sia quello russo, da un lato, sia quello nostro, dall’altro (“le porte chiuse d’europa che gettano una luce incerta”), assurge a una comprensione più alta e crudele della vita e della morte, dove “nel ghetto c’è ancora un fiume – non per annegare (anche se può capitare) / ma per guardare il cielo da tutte le rive”. Perché solo dal centro della guerra è possibile capire, gli altri sono discorsi “di chi non sa proprio niente”. Sembra un’opera cinica, ma è colma di pietà e di forza, in cui la domanda più urgente rimane: “Come fare a resistere?” e dunque: “Come fare a esistere?”. Leggetelo.

domenica 23 febbraio 2025

ma è vero che non chiedete soldi?

Capita, nell'80%, forse 90% dei casi, che quando chiedo a un autore che mi propone un suo libro come è arrivato fino a me, l'autore non mi risponde "Vi seguo e mi piace la vostra linea editoriale" oppure "Vi conosco poco, ma mi sembrate adatti al tipo di libro che voglio fare", ma piuttosto "Ho cercato su internet quali sono gli editori che non chiedono un contributo e ho scritto a tutti quelli che ho trovato". Un po' come si fa con l'indifferenziata. – Quindi non ci conosce? – No. – Quindi non sa nulla di cosa facciamo? Ha visto il nostro sito? – No. Ma è vero che non chiedete soldi? domandano sempre tutti una seconda volta per stare sicuri. – L'altro giorno una ragazza mi ha chiamato perché cercava un editore senza contributo che le pubblicasse il libro, ma per il 15 marzo, perché per lei quella data è molto importante. Quando le ho spiegato che la cosa era impossibile, mi ha risposto "Va bene, ho capito, e se ti pago?" come se ciò che le avevo detto prima fosse una tattica per contrattare un prezzo più alto. – Ma è questa l'immagine che do? – Io mi chiedo chi me lo fa fare di perdere tanto tempo a barcamenarmi, quando potrei semplicemente chiedere 1000 euro a libro per chiunque mi chiami e se non ti sta bene quella è la porta. Mi toglierei di torno un sacco di scocciatori, pubblicherei qualche titolo in più, e sarebbe anche la volta che posso assumere qualcuna delle decine di ragazz* che mi scrivono in cerca di lavoro, e io non so mai come rispondergli che vorrei, di una mano avrei bisogno, ma non so come pagarli. Di loro mi dispiace più di tutti.

sogno della cattedra

Nel sogno sto in cattedra, o forse è un banco di scuola, in una sorta di aula universitaria o piccolo teatro, e scrivo. La gente sta seduta intorno a me sulle tribune e mi guarda come se assistesse allo spettacolo di me che scrivo. Osservo i riccioli rossi di un ragazzo in seconda fila che ondeggiano vivacemente mentre fa dondolare il capo al ritmo della mia penna che traccia segni sulla carta. Non è musica, ma silenzio, quello che produco. Osservo i volti in seconda fila, e quelli ancora più in alto in gradinata, che mi guardano attenti e respirano piano, aspettano che riempia il foglio, che arrivi in fondo alla pagina e la giri, accumulando le pagine in un manoscritto che cresce alla mia destra. Trattengono l’applauso che vorrebbero farmi, in attesa che metta fine alla mia storia.

sabato 22 febbraio 2025

io l'avevo detto

Oggi pensavo tre cose. Primo, a quanto mi piacerebbe riscrivere la storia con le decine di IO L'AVEVO DETTO di chi si crede da solo, e invece fa parte di un esercito di persone che si parla addosso senza ascoltare quelli a lui vicini. Secondo, che sempre troppi sono quelli che l'avevano detto e sempre troppo pochi quelli che IO L'AVEVO LETTO, ma poi quanti sono quelli che prima di parlare si informano davvero, anche solo per pensarci un po'? Terzo, che aspetto ancora di leggere o ascoltare il primo che mi dica IO QUESTO L'AVEVO SBAGLIATO, aspetto e aspetto, ma mi sento come Diogene alla ricerca dell'uomo.

giovedì 20 febbraio 2025

regalare

Molti anni fa, avevo appena aperto la casa editrice, un amico imprenditore mi diede un consiglio che non ho mai scordato. Mi disse: regala i tuoi libri solo a chi non ti conosce, per dargli modo di vedere la qualità del tuo lavoro. A chi ti conosce non regalare nulla. Se ti conosce, allora sa la qualità del tuo lavoro e investirà nel tuo progetto. Se non investe nel tuo lavoro, se non compra i tuoi libri, significa che non crede abbastanza nel tuo progetto.

schadenfreude

C’è un proverbio tedesco che dice: “La Schadenfreude è la gioia più bella, perché viene dal cuore”. La Schadenfreude, ovvero la gioia sottile, sadica e profondamente egoistica che proviamo per il dolore altrui e che scaturisce dall’odio e dalla disistima di noi stessi. Tanto più ci odiamo, tanto più godiamo nel vedere il male riversarsi sugli altri intorno a noi. Non ho mai visto così tanta Schadenfreude come in questi anni, sui social, in questo periodo storico dove il “nemico” coincide con la nostra stessa immagine, gli “altri” del cui dolore ci beiamo siamo noi stessi, ovvero il nostro “prossimo”, la nostra stessa società coi suoi vantaggi, che accogliamo in pieno, e i suoi valori, che tendiamo invece a mettere in dubbio, rinnegare, rifiutandoci di partecipare attivamente a un miglioramento collettivo, ma anzi rimproverando, insultando, godendo di ogni sconfitta che inevitabilmente, come nel domino, si riverserà sopra di noi per interposta persona. Fieri soltanto del nostro vittimismo. Vi è sottintesa, come mi diceva ieri Davide Castiglione, una profonda pulsione di morte in tutto questo. Quello a cui più ambiamo non è una giustizia e una verità universale, ma un suicidio di massa che, nella nostra ansia di punizione, appiani il nostro senso di colpa e di inadeguatezza, anche a scapito degli altri di cui, nei fatti, ci importa poco o nulla.

mercoledì 19 febbraio 2025

stupidità

Mi tocca anche leggere europei dissociati, o meglio gente che vive in Europa pur odiandola, e si posiziona mentalmente altrove, tipo in Nuova Guinea o Mozambico, che applaudono Trump perché la mette in quel posto all'Europa, dimenticandosi che, vivendo in Europa purtroppo, il culo che la prende è anche il loro. A nessuno piace l'Europa così com'è oggi, ma una cosa è lottare per cambiare le cose dall'interno, anche protestando a voce alta, un'altra e aspettare un colpo di pistola ed esserne felici. Ma quanto grado di stupidità è possibile?

vangelo

Ieri Trump ha detto in una intervista, rispondendo a Zelensky, che se l'Ucraina voleva partecipare al tavolo per la pace non avrebbe dovuto "cominciare questa guerra"... Che è una fesseria da qualsiasi posizione la si ascolti. Se gli USA/Nato non c'entrano nulla con la questione allora la guerra l'ha cominciata la Russia, se invece c'entrano allora la guerra l'hanno cominciata proprio loro... Invece pare che adesso stiano scaricando tutta la colpa sull'Ucraina e sullo stesso Zelensky, come qualcuno aveva già previsto, per aggirarli nei trattati. Del resto il sottinteso di quel "cominciare" è probabilmente che l'Ucraina ha sbagliato a "contrattaccare", se avesse accettato pedissequamente l'occupazione tutto questo non sarebbe successo... In fondo lo dice anche il Vangelo: "A chi ti schiaffeggia, tu porgi l'altra guancia; a chi ti toglie il mantello, non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; a chi ti prende ciò che è tuo, non chiedergli nulla in cambio". Quanti di noi lo hanno fatto di recente?

martedì 18 febbraio 2025

pace?

A me pareva già una stronzata l’incontro per la pace dell’estate scorsa a Lucerna, fatto senza la Russia (e con Biden assente), e mi sembra una stronzata quello di oggi senza l’Ucraina. Per il semplice motivo che la pace, se davvero vuoi la pace, si fa tra i litiganti, non con il terzo che gode, non con l’arbitro che come da tradizione è sempre cornuto. Poi possiamo tirare fuori tutte le motivazioni geo-fanta-politiche sulle cause del conflitto, su come sono andate le cose, su chi ha ragione e chi ha torto, su chi fa gli interessi di chi, possiamo tirare in ballo i millemila motivi per cui quello è più vittima di questo, o più cattivo, o più fantoccio, ma se vuoi la pace fra due stati, si fa un tavolo coi due stati che stanno combattendo, per farli parlare alla pari, per mitigare l’odio, rivedere le posizioni e salvare il salvabile con un minino di dignità necessaria per entrambi. Almeno se, come si dice, quello che ci sta a cuore – ma da ciò che leggo non ne sono per nulla convinto – è salvare vite o risarcire le migliaia di vittime di questo conflitto.

lunedì 17 febbraio 2025

sole24ore

Qui Maurizio Ceccato scrive per la rubrica Coverstory uscita ieri sul domenicale del Sole 24 ore questa nota alla copertina di Contrattempi di Ezio Sinigaglia, illustrato da Anna Salmoni, in cui delinea un po' qual è la linea grafica di Pietre Vive Editore. A parte farmi il complimento che sono giovane fa il paragone assai lusinghiero, per me, di paragonarci all'editore Frassinelli. Di questo gli sono molto grato.


 

certificato

Autrice che mi manda la sua raccolta di poesie brevi e per ciascuna aggiunge una dedica in rima baciata, persino quando la poesia è dedicata al mare o alla pace, quindi per ogni pagina ci sono sempre due poesie, quella che parla della pace e la dedica alla pace, e in calce ci mette il suo nome e il certificato di autenticità dell'opera, anche quando la dedica è praticamente uguale alla poesia, quindi l'autrice copia da se stessa.

domenica 16 febbraio 2025

promosso

Autore che mi scrive: "Buongiorno, vorrei proporle un testo che, credo, sia coerente con la Sua idea della funzione della poesia: chiarezza e pulizia del dettato, coniugata ad impegno sul piano sociale e storico." E io penso, Finalmente! Infatti lo apro e leggo un'opera che dice, a me, quello che io voglio trasmettere con la mia idea di linea editoriale. Promosso.

sabato 15 febbraio 2025

vittoria o fallimento

Faccio il mio unico post su Sanremo 2025 osservando come ogni sera vanno ripetendo che circa 11 milioni di spettatori, su una popolazione di 60 milioni, sono un successo senza precedenti. Io penso al mondo dei libri, dove il numero dei lettori italiani è all’incirca lo stesso degli spettatori di Sanremo, e mi chiedo perché se 11 milioni di consumatori guardano un programma frivolo come Sanremo è un successo, se leggono un libro è considerato un fallimento.

giovedì 13 febbraio 2025

quando un distributore chiude...

Quando un distributore chiude, lo dico perché ancora ieri ne parlavo con un altro editore che ha avuto un'esperienza simile, quando chiude e non ti paga ti brucia forte una rabbia in corpo, che io ci ho messo i mesi a farmela passare, e solo al pensiero di tutte quelle decine di libri prodotti a mie spese, venduti e mai pagati, fatturati anzi, così che alla beffa aggiungiamo il danno, mi sentivo risalire un nervoso che mi toglieva il sonno. Soprattutto li odio perché quando li chiamavo mentivano sempre, anche di fronte all'evidenza del fallimento, sarebbe bastato dire Siamo nei guai, o Troviamo una soluzione insieme, e giuro sarebbe stato diverso, avrei persino lasciato perdere, accettato l'ammanco, invece niente, Va tutto bene mi dicevano, anzi Siete voi che state sbagliando tutto, mi dicevano, scaricando su di me la colpa, e siccome in quei mesi mi stava morendo un padre io stupido pensavo che forse era davvero colpa mia, che forse ero distratto, non ci stavo con la testa, e invece no, erano proprio loro in malafede e adesso mi resta questa sovrapposizione di una manica di ladri che senza una briciola di pudore, o pietà, metteva il dito nella mia piaga, si approfittava del mio dolore, e io cretino li lasciavo fare per sfinimento. La fregatura che ho preso non me la dimenticherò mai più.

martedì 11 febbraio 2025

note e anteprime

Io poi mi chiedo quand’è stato il momento che abbiamo trasformato le note di lettura in anteprime editoriali dove tutto lo sforzo redazionale è copia-incollare qualche testo dal libro e dire eccoci qua. Che poi non parlo nemmeno di fare una recensione critica con tutti i crismi, che fra l’altro ormai, così come nessuno la scrive, nessuno la legge, o meglio ancora, spesso chi scrive non è capace a leggerla, gli mancano i mezzi. Ma mettere almeno in calce un commento, una frase, un giudizio. “Questo mi è piaciuto perché” oppure no, non sposta il mondo, ma un po’ di differenza secondo me la fa, come quella volta che un ragazzo mi disse “Mo, a leggere quel libro mi sono cacato sotto”, non vale più di tutte le anteprime editoriali?

sabato 8 febbraio 2025

insegnamento

Io poi mi chiedo, che senso ancora abbia
andare ad insegnare alle caprette
quando c’è l’Intelligenza Artificiale
che fa meglio e nel c*lo gliela mette.
Incaprettate, appunto, è quello
a cui sono destinate. “Chi lo sa
non glielo dice e chi lo dice non sa più
che cosa dice e a chi” (Lao Tzu).

venerdì 7 febbraio 2025

tette e corpi

Devo essere sincero, non ho mai visto l'esposizione di così tante tette sui social, con conseguente sessualizzazione persino delle mentine per l'alito o della carta igienica, come da quando si è cominciato a parlare di movimento metoo e patriarcato, sembra quasi che più le donne lottino contro il patriarcato e la sessualizzazione del corpo, e più tette si vedano in giro, al punto che uno si chiede chi le mette in giro e per che scopo, se siano le donne stesse, a cui le tette sono attaccate, per rivendicare la propria libertà di mostrarsi, oppure i medesimi patriarchi che occultamente detengono il controllo dei social, così che da una parte mostrano tutto quello che si può mostrare e dall'altra ti impongono le loro regole di censura per rimarcare di avere loro il controllo sia dell'immagine che, di conseguenza, del corpo. A furia di guardarle, a volte ti viene pure il dubbio, e se fossero finte? Magari sono tette rifatte con l'AI. Fatto sta che se tutto questo è frutto di una reazione inversamente proporzionale alla lotta per la liberazione dell'immagine, c'è quasi da sperare una esasperazione incontrollabile dei toni, dove gli integralisti islamici da burqa prendano il controllo dell'Europa! A quel punto, immagino, ci sarà sì una esplosione tremenda e io mi vedo già l'Europa sprofondare inghiottita fra due immensi tettoni materni come quelli della gigantessa di Baudelaire o della tabaccaia di Fellini, o all'opposto capiterà come nell'Invasione degli Ultracorpi di Don Siegel, o in quel delizioso racconto satirico di Philp Roth, che le tette, stanche di noi, si faranno finalmente corpo reclamando la loro indipendenza, e le vedremo andare in giro per il mondo sulle loro gambe, in piena autonomia fra uomini e donne, ma senza più appartenere a nessuno dei due, e senza che nessuno possa più negare la loro esistenza, nemmeno un bigotto contorto come Trump.

sogno della stalla

Nel sogno c’è Bob Dylan, non quello interpretato da Chalamet, ma quello vero e anziano di oggi, coi baffetti e il cappellaccio da cowboy, che viene a fare un concerto nel mio studio, a Locorotondo, cantando tutti vecchi pezzi blues e folk americani che non conosce nessuno delle 30-40 persone venute a sentirlo. Poi gli faccio fare un breve tour delle due stanze più bagno che compongono il mio studio e nel tentativo di essere simpatico gli dico che questa un tempo era una vecchia stalla all’incrocio del paese, cercando di rimescolare il mito di Robert Johnson con quello del presepe. Dylan mi guarda perplesso, non capisce. Mi viene il dubbio di aver pronunciato male la parola stalla, di non ricordarla bene, era stable o barn? Così esco fuori e comincio a chiedere a tutti, fermando la gente al semaforo, come si dice stalla in americano. Nessuno a Locorotondo sa rispondermi. Interviene lo stesso Dylan che mi chiede se la parola che cerco è farm, Tonio’s Farm? No, no, non farm gli rispondo in dialetto, jè a stàdde! Non facciamo confusione! E da bravo meridionale provo a convincerlo che fra il loro americano e il nostro dialetto non c’è troppa differenza, quindi dovrebbe sforzarsi di capirmi. Dylan mi osserva divertito, fa di sì con la testa, ma non dice più nulla.


giovedì 6 febbraio 2025

chi li leggerà?

Uno fa il meccanico, mi manda delle poesie lunghissime sull’officina in cui si perde fra i bulloni e le chiavi come Chaplin nella catena di montaggio. Un altro lavora la terra, mi manda delle poesie d’amore dedicate ai pompelmi che gonfiano il petto e guardano fiduciosi al futuro. Una ragazza studia medicina e scrive poesie per dirmi che di fronte al dolore degli altri si sente vulnerabile e sola, ma si chiede con ansia quando si formerà quella corazza professionale che la distaccherà da loro. Un altro, disoccupato, vola alto e mi manda un poema ucronico sulla fine del mondo dove mi mette in mezzo “l’editore Lillo ha detto” nemmeno fossi un personaggio da operetta buffa. Nessuno di loro ha più di trent’anni, tre non hanno proseguito gli studi, nessuno frequenta circoli letterari o combriccole da poeti estinti. Eppure scrivono, più o meno bene, prima o dopo il lavoro, hanno idee strambe e stimolanti. Mi chiedo sempre chi li legge, a parte me, e cosa ne pensa, e chi li leggerà se verranno pubblicati. I dati di mercato ci dicono nessuno, o quasi. Queste storie di giovinezza artistica entusiasmano tutti, poi però si deve mettere mano al portafogli e lì cominciano i problemi. Eppure, aggiungo, quanto ci fa bene sapere che da qualche parte ci sono nascoste delle persone così, fuori dagli schemi, che ci apparecchiano così grandi entusiasmi in virtù dei loro sogni in versi. Se la poesia è viva, oggi, lo dobbiamo anche un po’ a loro.

mercoledì 5 febbraio 2025

sopravvalutare

A volte penso che il vero nostro problema non è che si sopravvalutano alcuni scrittori, ma che si sopravvaluta la maggior parte dei Lettori. Chi non li sopravvaluta e li tratta per quello che sono in effetti vince.

martedì 4 febbraio 2025

maritmie

Mi segnalano l’uscita della raccolta di poesie di una signora. Questa raccolta si intitola MARITMIE, proprio come quella di Giovanni Laera pubblicata con Marco Saya due anni fa. I più curiosi possono cercarla in rete: è vero che è una coincidenza particolare, ma non sappiamo e non possiamo dire se ci sia stato un calco, anche indiretto, o sia il frutto di un caso. Per quanto mi riguarda, il dato più interessante è questo: il libro, 104 pagine, pubblicato con Youcanprint (marchio con cui oggi ci si può candidare anche allo Strega Poesia), viene venduto sul mercato al prezzo di 37,50 euro. Come mai, si chiederà il lettore meno avveduto, costa così tanto? Per il semplice motivo che piattaforme come questa e altre simili, non sono democratiche oasi di libertà autorale come qualcuno vorrebbe farle passare, ma piuttosto macchine mungitrici create apposta per spennare gli autori più ingenui o meno preparati, attraverso servizi a pagamento che offrono loro. Non hai nessuno che ti fa l’editing? Te lo facciamo noi! Nessuno che ti fa l’impaginazione? Ma ci siamo noi! Chi ti disegna la copertina? Se vuoi il nostro team grafico è a tua disposizione! Tutto accuratamente fatturato con iva al 22%. Così accumulando questi ai mai dimenticati costi di stampa (la carta!) e distribuzione (su tutti i canali online con le debite percentuali di sconto, che vanno dal 35 al 60% del prezzo di copertina!) un libro autoprodotto può arrivare a costare all’autore fino a 20-25 euro al pezzo. Come fai a non rivenderlo a 37 euro a quel punto? Devi, per rifarti almeno di una parte delle spese! Ecco, questo è il capitalismo più puro applicato all’editoria, dove il sogno di pubblicare viene smontato e rivenduto pezzo per pezzo alla catena di montaggio, dove l’acquirente finale rimane unicamente l’autore. Perché, a quel prezzo, quanti compreranno il libro? E chi lo leggerà? Che differenza passa allora fra un editore fraudolento che ti spenna e una piattaforma legale che ti spenna? E scrivo questo non perché sono contrario all’autopubblicazione, ma perché credo che serva a tutti maggiore consapevolezza di cos’è il male dell’editoria. Aggiungo, per tornare alla signora di cui non so nulla, che un editore serio dopo una breve ricerca le avrebbe detto che forse non era il caso di usare come titolo qualcosa di così connotato con l’opera di un altro: non è etico, né elegante, e nemmeno troppo furbo. Ma nel mercato del selfpublishing, vera terra della cuccagna di chi non sa, nessuno ti può impedire nulla perché tutto è lecito se paghi il giusto.

lunedì 3 febbraio 2025

metri quadri

Oggi parlando con un amico editore è venuta fuori questa verità, che mettendo insieme tutti i metri quadri degli stand affittati nelle diverse fiere del libro degli ultimi anni – i cui prezzi affiancano ormai quelli degli immobili: dai 166 euro in su a metro quadro per le fiere più blasonate – mettendo insieme tutto questo, da qualche altra parte nel mondo uno più furbo di noi si sta comprando una casa.

domenica 2 febbraio 2025

sogno della magnolia

 Nel sogno un albero immenso di magnolia compare sulla terrazza dietro casa mia che qui ha le caratteristiche di una grande piazza di città sul mare, sollevando fra i suoi rami relitti di zattere o vecchie barche di marinai, biancheggiando nella carne dei suoi fiori. Non ha radici che la fissino al suolo, infatti dopo un po’ che restiamo ammutoliti ad ammirarla la osserviamo mettere gambe e spostarsi, ridimensionandosi per essere lei alla nostra altezza, così creando in noi come un forte sentimento di rimpianto. Si avvicina a me per farsi accompagnare a passeggio lungo la piazza, ma quando provo a fotografarla, lei insieme ad altri alberi mascherati a festa, comincia a ridere per la vergogna e si muove, schermendosi, troppo rapidamente per farsi riprendere, ogni foto mi viene mossa. Quando cade, senza un motivo apparente, siamo costretti a legarla a una vecchia scala di legno e trasportarne il corpo legnoso verso il paese più vicino attraversando un paesaggio fitto di neve in cui il suo biancheggiare si confonde con quello della campagna intorno e tutto, persino le nostre tracce, si annulla nel bianco.