sabato 1 marzo 2025

poesia in rima

La poesia più brutta che credo di avere mai letto, di un cattivo gusto come pochi, l'ha pubblicata oggi un signore italiano, ed è una cacatina in settenari in rima baciata, che ricorda nel ritmo i fumetti di inizio Novecento del Corriere dei Piccoli, sul modello di Bilbolbul, che chi non lo ricorderà era un fumetto di taglio coloniale che raccontava le avventure africane di un piccolo "negretto" che quando si emozionava cambiava colore della pelle, una cosa oggi improponibile. Questo signore, ispirato dall'editoriale di oggi di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, si augurava nei suoi versi che dopo la "sgridata" di Trump che ha svelato la sudditanza di Zelensky alla Nato, gli ucraini rinsaviti, in questo "lieto giorno" facciano fare a lui e a quel "bel soggetto" di sua moglie la stessa fine di Mussolini (sottinteso: appesi per i piedi in piazza). Il fascismo, nelle intenzioni dell'autore, combattuto con lo stesso linguaggio irridente, fanatico e violento del fascismo, in cui si celebra con gioia la soppressione fisica del proprio nemico. Io l'ho trovata una cosa aberrante, una sorta di transfert in cui non c'è più differenza, né distanza, fra vittima assassino e spettatore, sono tutti malati di sangue. E leggendo la sua poesia, mi sono vergognato di scrivere in versi anch'io.

zucchine

Ho letto da ieri così tanti post e così discordanti su quello che è successo nello Studio Ovale, scritti da persone anche molto preparate, che sono arrivato alla conclusione che nessuno lo sa di preciso cosa è successo ieri e perché, tirano solo a indovinare, e comincio a pensare che secondo me non lo sa manco chi stava ieri nello Studio Ovale cosa è successo, altro che attacco preparato a tavolino, però su questo sono disposto anche a ritrattare, basta che mi date delle garanzie efficaci, o metà del vostro giardino di casa per piantarci le zucchine.

due espressioni

Ieri, in una giornata così particolare per gli Stati Uniti, ho visto finalmente A complete Unknown che sicuramente non poteva venire fuori in un periodo migliore per ricordare agli americani stessi che c'è stato un tempo in cui si faceva "controcultura", parola bellissima di chi usa l'arte per dire qualcosa sul mondo e con un pubblico disposto a crederci, non solo comprare i dischi, ma proprio credere a quella cultura come fonte di verità e integrità. Quanto al film l’ho trovato carino, ma nulla di più, forse sono troppo fan per apprezzare a dovere qualcosa di così riassuntivo. Le figure femminili, per quanto vivaci, ne escono impoverite, anche se i duetti con la Baez riescano a trasmettere la perfetta alchimia artistico/erotica che i due riuscivano a scatenare sul palco. Ma è soprattutto il personaggio di Dylan così osannato dell'interpretazione di Chalamet che non mi ha convinto. Lui bravissimo interprete certo, ma non ride mai, ha sempre quell’aria sbattuta e vagamente fuori che dopo un po' ti viene a noia, soprattutto nella prima parte. Da come viene descritto nelle sue biografie, il primo Dylan era il classico ragazzetto di provincia scroccone e sbruffone, fondamentalmente allegro e innamorato della vita, che poi, nei vari scontri/traumi per arrivare al successo, si indurisce e si fa crescere un'armatura impenetrabile intorno che diventerà il suo marchio di fabbrica a metà anni Sessanta. In questo senso il personaggio Dylan non mi è sembrato subire nessuna vera maturazione, non così marcata, anzi fin da quando arriva a New York è sempre introverso, imbronciato, chiuso, musone, stronzo, e così via per tutto il resto del film. Nella seconda parte, è vero, mette gli occhiali da sole, tanto che viene in mente quella famosa battuta di Sergio Leone su Clint Eastwood, il quale avrebbe soltanto due espressioni: col cappello e senza.

l'avvocato dei poveri

Oramai ce lo stiamo proprio scordando, ma una delle grandi conquiste del Novecento, conquista ottenuta a suon di scioperi, arresti e manganellate, è stata quella di porre un argine al potere, per cui persino i potenti hanno un limite oltre il quale non possono andare, persino i potenti non possono permettersi di sopraffare chi è più debole di loro, e per quanto sia fallace c’è in ogni democrazia un accordo sociale che limita l’espressione di quel potere e pone su un piano di parità tutti gli uomini. È quella cosa per cui chiunque di noi può dire “io ho dei diritti” o lamentarsi se non vengono rispettati. Magari è un sistema imperfetto, è un sistema dove a porte chiuse succede di tutto, dove ci si inventano golpe e invasioni “di pace”, ma sempre come qualcosa di truccato, perché si sa che è sbagliato, e questo argine almeno fino a ieri ha resistito. È la stessa conquista che ha fatto sì che anche il figlio del più umile degli operai, o dei contadini, potesse arrivare a fare politica e gestire la cosa pubblica lì dove prima sedevano semplicemente i ricchi, quindi non c'è da sputare nel piatto di questa conquista, non c’è da sminuirla. Ed è per questo che il fatto che così tanti che leggo stamattina siano così contenti di ciò che è successo ieri, con l’umiliazione, vera o studiata a tavolino, di un rappresentante politico più debole – con i milioni di persone che ha alle sue spalle e che ieri magari aspettavano di porre fine ai loro problemi – da parte di una superpotenza che loro stessi odiano, mi fa incazzare soprattutto perché viene da persone che parlano dalla mattina alla sera contro il potere e chi lo esercita, poi invece di fare fronte comune, istintivo, contro un potere soverchiante, se la prendono col più debole dei due. Mio padre, che nell'animo era il classico “avvocato dei poveri”, mi ha insegnato che, nel dubbio, ci si deve mettere dalla parte del più debole, sempre, anche se non è perfetto, anche se non ha tutte le ragioni o se è la scelta meno popolare, il più debole è sempre quello che non ha nessuno dalla sua parte. Non ti fidare mai di chi sceglie di stare dalla parte del più forte, mi diceva mio padre, quello è il primo che quando avrai bisogno tu ti volterà le spalle.