venerdì 8 marzo 2024

lacrime di rimmel

Parlando di giornata internazionale della donna, ho visto ieri sera Sick of Myself (2022) di Kristoffer Borgli e al di là dell’estremizzazione di alcune situazioni (col volto deformato di lei che in fondo è un’attualizzazione “social” del ritratto di Dorian Gray, con la ragazza che, come in una sorta di patto insano, più degrada nella morale e di contro aumenta nella fama, più si fa orrenda in viso, lì dove il suo viso e la sua immagine coincidono, sono la stessa cosa), devo dire che il film mi ha fatto soprattutto pensare al cinema di Antonio Pietrangeli, uno dei nostri registi meno conosciuti eppure uno dei più lungimiranti, che alle donne ha dedicato i suoi film più belli. Proprio come le varie eroine di Pietrangeli (in particolare quelle di Nata di marzo, La parmigiana e Io la conoscevo bene), che sono donne immerse nel tumulto dei primi anni Sessanta, quando il primo boom economico stava sconvolgendo ogni rapporto sociale e famigliare, Signe, l’eroina di Borgli, è una donna incapace di “accontentarsi” di ciò che ha fino al punto da inventarsi delle strategie di “guerriglia” basate sull’inganno per far emergere la propria personalità sulle altre in una sorta di gara col proprio compagno, ma sempre tendendo a un nuovo squilibrio che rilanci la partita in avanti. Anche il compagno di Signe, Thomas, come tutti gli eroi di Pietrangeli è inadeguato alla situazione che vive e pertanto si ritrova a mostrarsi per quello che è, un uomo debole, profittatore, furbo, vanitoso, vittimista, continuamente in gara col proprio ego come i vari Nino, Piero o Roberto di Pietrangeli, o l’Adolfo di La visita che nella sua abiezione è l’unico a mostrare un po’ di luce nel momento stesso in cui si scopre, di fronte ai rimproveri di Pina, e ammette di essere un mostro. Signe invece, come le varie Francesca, Dora, Adriana, è patologicamente bugiarda, egoista, pronta a tutto per ottenere qualcosa che nemmeno lei sa definire, e soprattutto per niente simpatica, tanto che lo spettatore può anche capirla, provarne pietà, ma non riesce a empatizzare con lei, allo stesso modo in cui lei non riesce a empatizzare con gli altri, se ne sente di continuo distaccata e tutto si riduce a una osservazione più o meno coinvolta di se stessa nell’altro. Due squilibri, quelli di Signe e Thomas, che proprio come nei film in bianco e nero di Pietrangeli, non si riassestano appoggiandosi sull’altro, ma anzi raddoppiano la propria carica autodistruttiva e portano così all’infelicità o a una posticcia felicità di entrambi. Meglio allora la solitudine. Aggiungo come nota di colore che il viso della Ferragni truccata come Joker uscita sull’Espresso, mi ha fatto pensare soprattutto a un incrocio fra la Signe di Borgli e l’Adriana di Io la conoscevo bene di Pietrangeli (interpretata da Stefania Sandrelli) che piange lacrime di rimmel .

giovedì 7 marzo 2024

basta che non si paga...

Gentilissimi, vi ho trovati nell’elenco degli editori gratuiti e vorrei pubblicare una raccolta con voi. – Buonasera, ha avuto almeno modo di dare un’occhiata alla nostra linea editoriale? – Veramente non ci ho fatto caso, ma non preoccupatevi, non mi importa molto dell’estetica, basta che non mi chiediate il contributo.

mercoledì 6 marzo 2024

il capolavoro

“PLAY SOMETHING WE KNOW!" suonaci qualcosa che conosciamo, grida una ragazza dal pubblico (in una sorta di remake di quella volta in cui 60 anni fa qualcuno dal pubblico lo chiamò Judas perché aveva stravolto il suo suono elettrificandolo) ripresentando l'annoso problema di ogni artista, se ripetersi all'infinito per assecondare il pubblico o "tradirlo" e andare avanti per la sua strada in nome di quella cosa chiamata ricerca artistica. Dylan potrebbe mandarla a fanculo come aveva già fatto 60 anni fa, invece ci pensa su e risponde suonando, in una versione rigorosamente riarrangiata, "When I paint my masterpiece", quando dipingerò il mio capolavoro. Genio.

 

martedì 5 marzo 2024

un quarto di un martello

Mentre sto lavorando alla traduzione di un libro, mi capita sotto gli occhi l'inventario dei beni di un bracciante del sud che muore improvvisamente ai primi del '700 lasciando alla moglie e ai suoi tre figli piccoli quanto segue: "una sottana rossa, un lenzuolo di tela, una coperta di lana verde sfilacciata, una sciarpa rossa, un tavolo di pino, due sedie usate, una piccola zappa da giardino, una vecchia zappa di medie dimensioni, una quota di un quarto di un martello da muratore, una cassapanca di pino, una scala di legno, cinque brocche di creta, quattro piatti e una coppa grande di creta." Più il trullo in cui vivevano in cinque e una piccola vigna. È una storia di povertà estrema, tanto che alla sua morte la moglie è costretta a ipotecare il trullo e la vigna per sfamare i figli, ma così restano senza casa. Chissà cosa è successo loro, come se la sono cavata. I documenti non lo dicono e così ci resta solo questa traccia e la forza e la caparbietà della donna che fa mettere per iscritto questo elenco per i figli. Fra le altre, la voce più commovente di tutte è quella quota di "un quarto" del martello da muratore, che non era tutto del contadino ma ne divideva il possesso e l'uso con altri tre e l'inventario lo metteva per iscritto così che i figli dell'uomo, ancora piccoli, non perdessero quel diritto nel tempo.

distributori (ancora)

Autore che dopo il post dell’altro giorno sui distributori continua a farmi domande per capire qualcosa che non afferra. – Ma se prendono loro (cioè i distributori) il 60% del prezzo del libro, non è come se guadagnano loro più di te che hai messo la materia prima? E se finiscono le copie dei libri, chi le ristampa, le ristampi tu? E se devi ristampare anche le copie con quello che ti rimane, dov’è esattamente che ci guadagni qualcosa? Non capisco, non mi piace. – Lo ripete tre-quattro volte di seguito, e in effetti non lo capisco nemmeno io, ma a forza di sentirglielo dire, non capisco non mi piace, non capisco non mi piace, non capisco non mi piace, mi viene da ridere e smetto di preoccuparmi. – Tanto a breve, ma questo non glielo dico, si farà tutto col print on demand e non solo tutta questa storia sarà passato, ma io stesso come editore sarò sorpassato e gli autori si autoprodurranno i libri online. Già succede, del resto. Smetteranno, insomma, di lottare per non pagare gli editori per finire tutti quanti a pagare le piattaforme digitali dei distributori. E quelli vintage torneranno in tipografia.

lunedì 4 marzo 2024

vincere (cosa?)

Quel momento in cui realizzi che sì siamo sull’orlo di una guerra mondiale e non perché lo dice Putin ma perché lo dice la Von Der Leyen, e che l’unica speranza rimasta al mondo per evitarla non è la diplomazia europea ma l’elezione di Trump negli USA, ovvero di un pazzoide fascista che ieri ha irriso pubblicamente la donna che lo ha battuto a Washington dicendo che è “una pezzente col cervello di gallina” e pensa che il posto giusto per le donne nel mondo non sia a fare politica ma stare piegate sotto le scrivanie a sollazzare il presidente di turno. Perché questo è Trump, uno che se fosse italiano vincerebbe a mani basse le elezioni per i prossimi vent’anni.

poesie

Mia madre che mi chiama per dirmi che mentre metteva ordine in un cassetto ha trovato due poesie di mio padre, una d'amore dedicata a lei e una invece indirizzata a Giuseppe Conte. Perlomeno papà pensava in grande.

sottotazze

Ci sono delle volte che mi chiedo, e non solo io, che fine fanno tutte le copie omaggio che si spediscono in giro all’attenzione di gente che non saprà mai che farsene e non ne farà niente. Perché è vero che i libri dovrebbero vendersi, ma è più vero che nella maggior parte dei casi, e soprattutto fra gli addetti ai lavori che sono i più poveri ma per questo anche i più taccagni, vanno regalati. Alcuni li abbandoneranno negli angoli, altri proveranno a donarli alla biblioteca di quartiere, altri ancora finiranno al riciclo, qualcuno ammuffirà in cantina mai nemmeno aperto, nemmeno per farne una foto sui social. Il mio amico Bogdan, che era un creativo e apprezzava le copertine, usava i miei libri per farne degli orologi da muro, non potevi leggerli ma ti davano conto del tempo che passava. Mentre ieri mi è arrivata una foto di una giornalista a cui ne avevo spediti alcuni, che non è riuscita a scriverci nulla (figurati, mancando una trama di che vuoi scrivere?), ma visto che le piacciono, li tiene sulla scrivania e li usa come sottotazza per il caffè. Siccome la carta che uso è riciclata le mezzelune lasciate dalle tazzine ci stanno anche bene. Ma quando l’ho vista ho pensato menomale che non li tiene in bagno.

domenica 3 marzo 2024

alberi

Oggi a rimonnare gli alberi da frutto. Io sono in ritardo, è vero, ma pure gli alberi sono in anticipo se alcuni stanno già fiorendo. Mio zio li guarda e mi dice questo sì e quello no, indicando quelli che è già tardi per toccarli. Ce ne avete di alberi aggiunge, sottintendendo che sarà un lavoraccio. Merito e colpa di mio padre. Pensare che fino a tre anni fa queste erano tutte cose che si vedeva lui. Non ti preoccupare mi dice mio zio, a furia di farle le impari anche tu.

sabato 2 marzo 2024

tenerezza

La tenerezza è sentirsi chiamare dall'altra parte della piazza da un bambino che ti saluta e poi si gira orgoglioso verso suo padre e gli dice: Quello è il maestro mio!

il distributore

Parlando di problemi editoriali, negli ultimi quattro anni ho lavorato con un distributore che ora sto lasciando perché è più di un anno che non mi paga una fattura. I primi due anni tutto è andato bene, il terzo ho cominciato ad avere problemi, il quarto anno è stato un disastro. A questo distributore sono arrivato dopo aver chiesto referenze ad altri editori che mi hanno assicurato che con loro si era comportato benissimo e quindi mi ci sono avvicinato con fiducia. Né sono stato l’unico, se tale distributore si pregia di avere un quantitativo di clienti, fra piccoli editori indipendenti, molto alto. Quindi non so a da cosa derivi questo comportamento, se sia stato un problema solamente mio o riscontrato anche da altri, fatto sta che – parlo per me – è da dicembre 2022 che tale distributore continua a rendicontarmi (con rendiconti a mio avviso poco chiari specie sulle voci di sovrasconto) libri venduti che io puntualmente fatturo, ma quando invio la fattura non mi viene bonificata. All’inizio mi sono lamentato, poi ho cominciato a innervosirmi. Ma ogni volta che sollecito il pagamento o non mi rispondono affatto, o se n’escono con qualche giustificazione (dove alla fine pare quasi sempre essere colpa mia per un motivo o per l’altro), oppure se m’incazzo se n’escono con la solita frase lapidaria “giriamo in amministrazione” con l'amministrazione che non mi ricontatta mai, nemmeno alle PEC, e così rimpallano di mese in mese i miei solleciti. Insomma, per ogni libro di Pietre Vive che siete andati a ordinare in una libreria di catena o avete acquistato su IBS negli ultimi mesi io ad oggi non ho recuperato nemmeno le spese di spedizione. È come aver preso decine di libri stampati a tue spese e averli regalati a uno più ricco di te, la sensazione è quella. In particolare questo mi è capitato con un titolo, “Agostino” di Michele Paoletti, dove a me risultavano vendute in libreria, durante una presentazione dell’autore (estate 2022), un’ottantina di copie che il distributore non mi aveva mai rendicontato. Quando l’ho redarguito, quasi otto mesi dopo la presentazione il distributore ha fatto un controllo, mi ha detto che avevo ragione (guarda un po’), mi ha fatto fatturare le copie vendute (nel 2023!) e non me le hai mai pagate. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Per cui sto chiudendo il rapporto, con tutte le lentezze del caso sui resi, ma ancora non so quando, come e se recupererò le cifre che loro stessi definiscono “non elevate” (anche perché ricordiamoci che io vendo libri di poesia, mica bestsellers da migliaia di euro). E la fregatura è proprio questa, che per cifre simili non vale nemmeno la pena fargli causa. Né il danno è tale che possa rovinarmi, però brucia, quello sì. Ora il problema, si dice da più parti, è che serve spezzare il monopolio della grande distribuzione, perché la loro mission è monopolizzare il mercato strozzando i piccoli editori (lo ha spiegato benissimo Giulio Mozzi in un suo post), ma se cerchi di venire fuori dalle pastoie della grande distribuzione (in un mondo che ti chiede di continuo di essere distribuito) andando in direzione “ostinata e contraria”, ovvero attraverso canali laterali che sono più vicini alla tua visione delle cose, ti imbatti spesso in realtà che si dicono “alternative” ma che poi di alternativo non hanno proprio niente. E a questo punto mi tocca ammettere che ha ragione chi sostiene che per fortuna c’è Amazon. Sarà a suo modo disumana, ma forse proprio per questo ad oggi è l’unica che non mi ha dato grosse fregature e paga puntualmente ogni mese.

mercoledì 28 febbraio 2024

dove vivi?

La Russia di Putin è fascista. Lo dice Oleg Orlov, due anni di carcere per averlo detto. L’Ucraina anche. Lo hanno detto Putin e anche molti italiani, così come lo dicono degli USA, dove sta per tornare presidente Trump, il quale lo dice dell’America di Biden che lo dice dell’America Trump, mostrando così che gli USA non sono un mostro solo e monolitico, ma due mostri molto fragili, e sempre più schizofrenici. Se l’America è fascista, si dice, lo è pure la Nato. Noi volenti o no siamo Nato, ma dovremmo uscirne si dice. Per andare dove? Anche tutti gli ex paesi sovietici sono un po’ fascisti, per educazione e cultura, vedi l’Ungheria che usa ancora le catene. Loro vogliono essere Nato. Ma allargando il tiro i fascisti li trovi un po’ dovunque. In Brasile, dove fanno le proteste in piazza per riavere Bolsonaro al potere, in Ecuador dove a fare la rivoluzione sono i narcotrafficanti, nell’Israele della strage a Gaza (che certi giorni mi pare sia l’unica cosa che ci passano in TV, insieme all’Ucraina, per non farci vedere tutto il resto), e i fascisti sono in Iran dove la rivoluzione è rientrata e oggi si fanno esecuzioni sommarie per strada, fino a tre impiccati al giorno, mischiando oppositori politici a comuni delinquenti, in Arabia Saudita dove invitano Renzi a parlare di Rinascimento, nella Turchia di Erdogan che mette i giornalisti in galera e poi fa da paciere per gli alleati in guerra, nell’Afghanistan dei Talebani che negano alle donne il diritto di restare umane, in Cina che mischiando comunismo e capitalismo è diventata un mostro a due teste pari agli USA ma molto molto più sano, nella Corea del Nord che pare avere un fascismo giocattolo ma pur sempre armato, e ultimi ma solo perché sono più poveri in più della metà degli stati africani, dalla Libia al Sudan, passando per il Congo che da oggi venderà gas all’Italia, a maggior vantaggio di chi? E l’Italia in tutto questo, mi chiedo, è fascista o no? C’è chi dice che il diavolo non è mai così brutto come lo si dipinge, e anche se abbiamo la Meloni al governo, i saluti fascisti ai raduni dei nostalgici, i pestaggi a morte nelle prigioni, Vannacci che rivendica un best seller, i poliziotti che caricano i ragazzini per strada, oltre a una storia che lasciando anche perdere i Novax può tornare gloriosamente indietro fino alla scuola Diaz, e prima ancora in Val di Susa dove nel silenzio generale dello Stato trattavano i comuni cittadini come terroristi, nonostante tutto questo il fascismo in Italia si dice è “sopravvalutato”, l’Italia nonostante qualche intemperanza col bastone è un paese sano. Sarà pure, io non sono Pasolini, io non so nulla, ma ti chiedo E tu, che ti dici antifascista e poi stai a questo mondo convinto che non serve guardare la trave nel tuo occhio quando puoi fissare la pagliuzza nell’occhio del tuo vicino fascista, e intanto paghi le tasse allo stato fascista in questa Europa serva e fascista, in un sistema economico fascista mentre fai la spesa nella catena sotto casa, e vai al lavoro, voti, viaggi, e se ti riesce fai dei figli, un mutuo, fai dei progetti per il futuro in questo mondo così tanto fascista da farti schifo, tu di preciso che non lo sei, non ti ci senti, non ci stai, tu per sentirti così innocente e puro, così fuori dal sistema-trappola, mi sai dire di preciso dove vivi?

piccole bugie

Certe volte mi accorgo di essere anche io affetto dalle piccole vanità comuni che mi portano a raccontare piccole bugie per tirarmela, come quando racconto che riesco persino a guadagnare qualcosa dal mio lavoro di editore, mentre in realtà non guadagno praticamente nulla. Vivo in assoluto pareggio, come un monaco zen. Dio però, quando c’è, punisce la menzogna e come al solito se la prende coi più piccoli. Oggi ad esempio, subito dopo aver detto una di queste bugie, mi sono accorto che si è rotta la caldaia, e mentre me ne accorgevo mi sono ricordato di chi sono e mi sono detto: Azzo, e adesso questa chi la paga?

martedì 27 febbraio 2024

sogno della scritta sul muro

Stanotte ho sognato che un tipo mi scriveva sul muro di casa INTELLETTUALI E LETTERATI / ANDATE A CACARE SOPRA I PRATI. La gente, passando davanti a casa mia ne era deliziata, al punto che mi sono detto perché no? Ho preso la frase e l’ho usata come titolo di un libro. Il qualche ha avuto un tale successo che è schizzato ai primi posti in classifica. La gente non si capacitava che riuscivo a dire così tanta verità intorno alle persone di cultura, un musicista addirittura ci metteva la musica e ne faceva una canzone sul cui testo percepivo i diritti. Insomma, con questa storia dei prati ero diventato ricco. Poi, come in ogni noir che si rispetti, il tipo che aveva scritto la frase ricompariva per chiedermi la sua parte. Io gli avevo rubato l’idea. A quel punto preso dal dubbio contattavo gli unici due avvocati che conosco, Giuseppe Quaranta e Fabio Macaluso. Giuseppe mi diceva con la sua voce calda “io capisco come ti senti, però eticamente, e anche artisticamente, non sarebbe giusto approfittarsi così della creazione di un altro, senza nemmeno riconoscergli qualcosa, io sarei per patteggiare una piccola percentuale in nome della verità e dell’arte”. Fabio invece in siciliano mi diceva “Antonio, quello è un cretino, qua ci penso io”. Finiva che Fabio denunciava il tipo per avermi scritto la frase sul muro, e poi facendo un giro assurdo nei suoi ragionamenti avvocatizi diceva che quel graffito era la prova che i versi li avevo scritti io mentre il tipo mi aveva copiato per diffamarmi, perché solo un cretino scrive una frase offensiva sopra il muro di casa e visto che io non ero un cretino e la frase l’avevo pensata io era ovvio che a scriverla era stato un altro che proprio perché scriveva certe frasi si rivelava molto pericoloso. E concludeva l’arringa con quest’altra rima: CONTRO IL POTERE DELLA SCRITTURA / QUI SERVE MAGGIORE CENSURA, al che tutti in tribunale si alzavano per applaudire. Finiva che il tipo che aveva inventato la frase andava in galera e io mi tenevo i soldi con qualche perplessità.

domenica 25 febbraio 2024

cattivo seme

Mauvaise Graine (1934) di Billy Wilder è il primo film da lui diretto, girato in Francia prima di trasferirsi negli Stati Uniti per dare avvio a una carriera di grandissimo prestigio. Il titolo italiano della pellicola, Amore che redime, non rende giustizia all'originale che sta per Cattivo seme. Senza fare troppo spoiler, l'opera è incentrata sulle avventure di un ladro d'auto ed è piena di inseguimenti su strada con la polizia. Insomma, dove finisce questo film comincia À bout de souffle di Godard che lo avrà visto e certamente amato.

le mani sporche

Di Esterno Notte (2022) di Marco Bellocchio, qualcuno ha già evidenziato il paragone messo in scena sull’ossessione per le mani di Moro e Cossiga, con la figura di Aldo Moro (Gifuni) che è ossessionata dall’igiene sua e della famiglia, e lava le mani puntigliosamente, e Francesco Cossiga (Alesi) che matura una forma di disturbo delirante per cui continua a vedersele macchiate sul dorso, anche se non c’è nulla, interpretando le macchie come segno di malattia e di prossima morte. Non è però, come qualcuno ha detto, il confronto fra una figura “ripulita” dallo sporco del potere contro una che ha le mani insanguinate, perché in entrambi i casi si può rasentare una forma di ossessione patologica. Entrambe le figure patiscono interiormente lo “sporco” senza riuscire a liberarsene. E Cossiga, psicologicamente più debole, lo interpreta come presagio di morte perché nelle ore del rapimento tende a identificarsi con Moro: lo sporco sulle mani crea una sorta di correlativo oggettivo fra i due. Nessuno invece mi pare abbia segnalato come, in un ulteriore possibile paragone, l’unica figura a sporcarsi realmente è quella di Andreotti (Contri) che alla notizia del rapimento di Moro è colto da violenta emozione, corre in bagno dove ha un attacco di vomito e si sporca i vestiti. È una scena molto forte, uno perché mette in scena un Andreotti (che generalmente è visto come un animale a sangue freddo, vedi Il divo di Sorrentino) per la prima e unica volta emotivamente scosso, e due perché lordandosi è come se assumesse su di sé, sul proprio corpo, con la sua reazione viscerale, tutto lo sporco che ne verrà sulla DC. Andreotti si lorda per tutti e ne esce, col solito aplomb, chiedendo al suo assistente di procurargli un vestito pulito. Il resto è storia. È curioso ancora constatare come una decina di anni dopo i fatti da cui è tratta l’opera, tale ossessione per le mani (per altro documentata) avrebbe trovato un riscontro, più o meno ironico, nell’operazione Mani pulite.

garboli e il potere

Nel settembre 1972 Cesare Garboli risponde a un articolo di Natalia Ginzburg sul massacro di Monaco, quando dei terroristi palestinesi durante le Olimpiadi assaltarono gli alloggi della squadra israeliana e uccisero tutti gli atleti. La Ginzburg, in quanto ebrea, è combattuta fra le due posizioni, se schierarsi con le vittime dell’attentato o con le motivazioni che hanno mosso i palestinesi, e si pone una serie di questioni – purtroppo mai risolte – su cosa avrebbe fatto lei al posto delle forze potere per trovare una soluzione al conflitto fra i due popoli, concludendo che l’unica scelta di campo che può fare, mancandole il potere di cambiare le cose, è stare dalla parte delle vittime. Garboli, prendendo spunto dalla fine del suo articolo, le risponde che le sue conclusioni sono giuste, ma per le premesse sbagliate: “oggi non si può stare dalla parte di chi fa la storia, ma solo dalla parte di chi la subisce. Un tempo, fino a ieri, si apriva alla coscienza di ciascuno uno spiraglio di speranza: la speranza di collaborare alla storia stando dalla parte giusta. In modo particolare, questa speranza ha celebrato il suo grande momento, si sa, all’indomani del crollo del fascismo, una festa sulla quale il cielo si è rapidamente richiuso. Tutte le generazioni che hanno preceduto la nostra, sia pure confusamente, hanno sempre vissuto nell’illusione, o comunque nell’idea che il mondo potesse cambiare, e che la storia dell’uomo fosse in lento, ma costante progresso. […] Se oggi abbiamo una certezza, è appunto che il mondo non cambierà mai […] che le vittime della storia non potranno mai diventare protagoniste della storia, non potranno mai conquistare e detenere il potere”. E se anche lo conquistassero non cambierebbe nulla, perché l’idea di poter gestire il potere è una semplice illusione. Perché il potere è un male, e praticarlo significa ammalarsene e praticare la volontà del male, non la propria. Essere al potere significa assecondare il potere, quindi non ha senso chiedersi cosa si farebbe avendo il potere in mano, si farebbe esattamente quello che il potere vuole. “Finché si è vittime, si è nel giusto, e si è nel giusto finché si è vittime. Tertium non datur… […] È stato Manzoni il primo, limpido assertore che agire la storia, fare la storia e non subirla, è comunque rendersi complici di un male, diventare corresponsabili di un orrore.” È una visione molto pessimistica la sua, anche influenzata dal periodo storico in cui l’ha scritta, nel pieno degli anni di piombo. E, infatti, rendendosene conto, chiude così: “Qualche volta, se si parte da certe premesse, e si arriva a certe conclusioni, bisogna avere il coraggio del proprio pessimismo fino in fondo”. Cinque anni dopo, alla notizia del rapimento Moro, Garboli d’impulso salì in auto e abbandonò definitivamente Roma, andando a rinchiudersi nella cascina di campagna della sua famiglia in Toscana, dove rimase per il resto dei suoi giorni dedicandosi esclusivamente allo studio e alla scrittura. A pensarci adesso, ricorda un po’ la scelta del poeta latino Orazio.

venerdì 23 febbraio 2024

e se pago?

Signora mi chiama per annunciarmi che vuole pubblicare un libro di poesie. Mi dice che ci ha scelto dopo una lunga selezione, ma il suo precedente editore le ha spillato un mucchio di soldi per cui ha deciso che da adesso in poi non vuole più dare contributi, spera che questo non sia un problema. – Signora, per me non c’è problema, solo tenga conto noi non pubblichiamo tutto ciò che ci arriva, ma solo ciò che ci piace dopo attenta selezione. Quindi lei ci ha scelto e io la ringrazio, ma non è detto che il suo libro ci interessi e che vogliamo pubblicarlo. Prima dobbiamo leggerlo e poi le facciamo sapere. – Nel senso che prima vi devo mandare le poesie? – Sì. – E che se non vi interessa non lo pubblicate? – No. – Ah… E se vi pago?

le presentazioni

Parlo della mia esperienza che quindi è molto relativa. Partecipo a sempre meno presentazioni di libri ma quelle che vedo nella maggior parte dei casi sono frequentate da persone più anziane di me. I giovani mancano. Quelle poche volte che ho visto presentazioni con persone più giovani di me, in maggioranza era quasi sempre nell'ambito della poesia e quasi sempre in ambiti circoscritti alla cerchia che aveva organizzato l'evento, come se facessero gruppo a sé rispetto agli altri. Ogni volta che ci penso mi vengono in mente i laboratori che si fanno a scuola dove quando liberi gli alunni dalla costrizione dei banchi i bambini vanno da una parte della stanza e le bambine dall'altra, coi bambini che in genere fanno più chiasso ma hanno anche più timore di interagire con le bambine.

giovedì 22 febbraio 2024

dalla voce

Giovane autrice con cui avevo parlato l'altro giorno al telefono perché voleva informazioni sulla casa editrice, oggi mi manda la sua proposta editoriale e mi scrive: "...dalla voce al telefono mi sembravi molto giovane, poi ho cercato la tua foto e confesso che sono rimasta un po' delusa, si vede che sei grande!" (Io mi sono immaginato quanto tempo avrà perso per cercare di dirmi che le sembro vecchio senza usare quella parola lì).