Ho passato il pomeriggio ad ascoltare un simpatico – e nient’altro – disco tributo: The Art of Paul McCartney, uscito nel 2014 e pieno zeppo di ospiti illustri, i quali dimostrano solo quanto sia difficile trovare, ancora oggi, un interprete vocale migliore dello stesso McCartney. In realtà gli arrangiamenti sono spesso troppo vicini agli originali per risultare interessanti e non a caso le cover migliori dei disco si dimostrano Wanderlust di Brian Wilson, vero grande rivale di McCartney per tutti gli anni ’60, e l’inarrivabile So Bad di Smokey Robinson, artisti che furono dunque di ispirazione per Paul all’inizio della carriera e non suoi epigoni. Fa eccezione una delicata No More Lonely Nights riarrangiata in chiave acustica dagli Airborne Toxic Event, giovane gruppo indie americano. Altri pezzi da segnalare: Venus and Mars rifatta dai Kiss (e che già all’epoca sembrava scritta per loro), la dolente Yesterday di Willie Nelson e Things We Said Today di Bob Dylan, che tolgono ogni orpello pop alla scrittura di McCartney, una divertita When I’m 64 di Barry Gibb dei Bee Gees, e poi una svagata C Moon, calzata come un guanto da Robert Smith dei Cure.
Poesie, pensieri e fotografie di Vitantonio Lillo-Tarì de Saavedra, in arte Antonio Lillo ovvero Antonio Hammett
sabato 31 gennaio 2015
pesci e scrittori
Oggi, ad esempio, è uscito un bellissimo articolo sulla straordinaria vita di Philiph Roth sul Corriere della Sera, che potete anche leggere QUI.
giovedì 29 gennaio 2015
mi avessero chiesto
Confesso di avere gusti semplici ma entusiasmi facili. Mi avessero chiesto mezzora fa cos'è la felicità gli avrei risposto senza esitare: broccoletti lessi con un giro d'olio crudo. Questo poco prima dell'amaro e alla faccia di ogni possibile letteratura.
io e charlie
A toccare la fede degli altri li si rende cattivi. Ha ragione il papa. Me ne sono accorto l’altro giorno che ho fatto dell’ironia sulla Giornata della Memoria e un mio amico, cresciuto nei valori della Resistenza, s’è incazzato dicendomi: ci sono alcune cose sacre, questa è una, l’altra è il 25 aprile. Ne è una nato una sorta di litigio collettivo, assai antipatico, fra me, lui e altri che hanno commentato il post e alla fine, disgustato, ho cancellato tutto. Che scrivevo nel post? Per sommi capi che forse a incrementare il giorno della Memoria era l’industria cinematografica per produrre quei due o tre film all’anno da trasmettere a fine gennaio, subito dopo i cinepanettoni di Natale, e concludevo con l’infelice battuta: Natale a Dachau. Insomma, ci sono andato pesante, e così ho toccato i nervi scoperti di una fede laica. Lì mi sono accorto di una cosa, che proprio quel giorno, mosso dagli stessi identici motivi e con gli stessi identici modi, io sono stato Charlie Hebdo. Ma davvero Charlie, non come molti che lo hanno scritto per partecipare al dolore e poi basta. Ho fatto dell’ironia alla Charlie che ha portato per alcune ore un po’ di nervosismo a tutti, e nulla di realmente costruttivo. Sono stato Charlie e non ne vado per nulla fiero, aggiungo. Però mi viene da dire anche questo, che inneggiare alla libertà di satira o d’espressione – di qualsiasi genere e contro qualsiasi fede – se poi non si è pronti, per primi, a calarsi le mutande in piazza fa molto Europa, non quella illuminista di Charlie Hebdo ma l’altra più antica, più ferocemente radicata, dove tutti sono sempre un po’ impacciati con l’autocritica ma sempre bendisposti a dare del coglione al prossimo. Insomma, serve tanto equilibrio.
mercoledì 28 gennaio 2015
siamo stati tre giorni senza dirci...
Siamo stati tre giorni senza dirci
una parola e c’erano le sue ragioni.
Però lei mi metteva la minestra
nel piatto e io mangiavo a testa bassa.
Nel letto stavamo schiena contro schiena
fintanto che una mattina
le nostre mani si sono incontrate
sulla schiena del cane.
(Tonino Guerra, da Una foglia contro i fulmini)
una parola e c’erano le sue ragioni.
Però lei mi metteva la minestra
nel piatto e io mangiavo a testa bassa.
Nel letto stavamo schiena contro schiena
fintanto che una mattina
le nostre mani si sono incontrate
sulla schiena del cane.
(Tonino Guerra, da Una foglia contro i fulmini)
lunedì 26 gennaio 2015
ma perché...
Stamattina, appena alzato, scrivo il mio pensierino del giorno: "Si dovrebbe tutti invecchiare con dignità e morire al momento giusto."
Lascio il mio quaderno sul tavolo, e dopo una mezzora torno e ci trovo aggiunto il commento di mio fratello:
"Ma perché, ti fa sentire Che Guevara quel gatto morto che ti cresce in faccia?"
sabato 24 gennaio 2015
nord e sud
Stamattina, in riproduzione casuale, mi è capitato di sentire una dietro l’altra due canzoni diversissime fra loro ma realizzate nello stesso anno di grazia, il 1979. Fegato, fegato spappolato di Vasco Rossi e subito dopo Basta ‘na jurnata e sole di Pino Daniele. Tanto l’una è profondamente pervasa dello spirito underground della provincia emiliana, lo stesso che puoi trovare nei fumetti di Pazienza o nei romanzi di Tondelli, quanto l’altra è pregna della Napoli internazionale e meticcia che si spalanca sul Mediterraneo. Poi si possono emettere tutti i giudizi di valore sui due artisti, ma questo non mi interessa. Di entrambi quei mondi senti l’odore, il sapore, i colori, ne puoi toccare il cuore e anche la merda. Cosa che, mi pare, non succede più oggi nella musica che si sente in giro, tutta perfettina e asettica, intercambiabile, persino quella dei nuovi cantautori che non sai più da dove arrivano, perduti come sono in una provincia modellata all’Ikea, non hanno né nord né sud, né perfezione né errore.
venerdì 23 gennaio 2015
una storia d’amore e morte lunga due minuti e mezzo
Stamattina, appena alzato, ho letto un fake: Morto il regista Clint Eastwood all’età di 84 anni. Subito mi è dispiaciuto, ma davvero, mi è preso il magone mentre sorseggiavo il caffè, e ho cominciato a pensare alla foto da mettere come copertina di Fb per onorarlo come meritava: Lettere da Iwo Gima, Gli spietati oppure Gran Torino. Mi sembrava poco però, meglio fare le cose giuste, scrivo un bel post in cui gli esprimo tutto il mio amore, magari passando in rassegna i tanti i bei film che ha fatto e come mi hanno cambiato la vita: Lettere da Iwo Gima, Gli spietati oppure Gran Torino. Questo nei primi due minuti. Subito dopo ho cominciato a pensare alla mattinata di lavoro che mi aspettava, e che per scrivere quel post, conoscendo i miei ritmi, ci avrei perso un’ora buona, forse un’ora e mezzo. E senza quasi accorgermene ho sbottato: Ma proprio stamattina dovevi morire, cristo, che devo fare un milione di cose! Lasciandolo, per andare a lavarmi i denti, mi sono accorto di essere stizzito con lui: Clint, io ti voglio bene, lo sai, ma chi ti conosce, che devo perdere un’ora della mia vita per dirti quanto ti amo! O lo sai già, oppure è inutile. E non era neanche morto.
martedì 20 gennaio 2015
la peste umana
Ogni volta che si scatena il dialogo intorno a un tema caldo (gli ultimi sono stati Charlie H. e le due ragazze rapite, il prossimo sarà quello per l’elezione di Silvio Berlusconi come presidente della Repubblica), tutti si mettono a discutere, spesso con toni e parole feroci, tirando fuori il peggio di sé, per riaffermare questa semplice verità: sono tutti cinici, ipocriti, cattivi. Ma tutti chi? Tutti, cioè un generico “gli altri” che nel concetto raccoglie anche noi, ma solo di striscio, tanto per dire che noi non ce la tiriamo ma siccome l’abbiamo capito stiamo un po’ meglio di loro. Secondo me, in tutta onestà, e lo dico con tutta la convinzione di cui sono capace, facciamo tutti quanti assolutamente e indiscutibilmente schifo, senza appello e senza eccezioni, per il semplice fatto, molto scientifico, che sotto lo stesso cielo condividiamo lo stesso gene, che è un gene di merda, difettato, di serie B. Qualcuno di noi, è vero, è più simpatico degli altri. Qualcuno è più furbo. Se oltre a essere simpatico e furbo ci sa fare, fa anche più sesso degli altri. È tutta qui la differenza. Ma poi, se ci va male, quel tipo simpatico che ci sa fare, ha pure maggiori possibilità di procreare, replicarsi e quindi diffondere ancora, sulla terra, questa peste che siamo.
lunedì 19 gennaio 2015
critica della ragion impura
Comincio a pensare che così come si fanno le recensioni dei libri, si dovrebbe cominciare a fare anche la recensione delle recensioni. Visto che negli ultimi anni e soprattutto con internet, si è venuta a creare una sorta di nuova critica "democratica", aperta cioè a tutti, persino a chi non ha i mezzi tecnici per farla, ma la fa uguale in base al principio che se compro il libro allora posso esprimere un giudizio di valore sullo stesso, allora è anche giusto che la critica si assuma la responsabilità di ciò che dice e di come lo dice. Dico libri, perché è il campo che preferisco, ma si può applicare anche alla musica, al cinema, ecc.
Oggi ad esempio mi è capitato di leggere la recensione abbastanza stupida di una ragazza, che premettendo di non amare assolutamente il genere dei racconti, per tutta una serie di motivi che non ho capito, si mette a recensire un libro di Carver. Analizza i racconti uno per uno, spoilerandone il contenuto, per poi dire, alla fine di ogni analisi, quale racconto le è piaciuto e quale no. Sapete quanti racconti le sono piaciuti dell'intero libro? Nessuno. E sapete perché? Perché sono racconti e i racconti non le piacciono, ma del resto lo aveva già detto nella premessa. La mia domanda è: ma perché, se proprio non ti piacciono i racconti, ti vai a comprare un libro di Carver?
Oggi ad esempio mi è capitato di leggere la recensione abbastanza stupida di una ragazza, che premettendo di non amare assolutamente il genere dei racconti, per tutta una serie di motivi che non ho capito, si mette a recensire un libro di Carver. Analizza i racconti uno per uno, spoilerandone il contenuto, per poi dire, alla fine di ogni analisi, quale racconto le è piaciuto e quale no. Sapete quanti racconti le sono piaciuti dell'intero libro? Nessuno. E sapete perché? Perché sono racconti e i racconti non le piacciono, ma del resto lo aveva già detto nella premessa. La mia domanda è: ma perché, se proprio non ti piacciono i racconti, ti vai a comprare un libro di Carver?
domenica 18 gennaio 2015
intervista a carlo formigoni
Sediamo con Carlo Formigoni, a metà pomeriggio, davanti alla porta della sua bella villa in campagna, quella dove di solito tiene le rappresentazioni della sua Compagnia dell’Altopiano e di pochi eccelsi ospiti. Siamo andati a trovarlo per ottenere quella che potremmo definire un’intervista informale. Davanti a noi un albero di tiglio spande il suo odore inconfondibile. Mi siede accanto Iva, sua moglie, che silenziosa ci osserva con dolcezza. Fra i nostri piedi si accoccolano i suoi due cani, Bilbao e Mimì, tenerissimi. Beviamo una tisana. Parliamo. Carlo Formigoni veste di bianco, ha le caviglie sottili, dei movimenti armoniosi soprattutto quando accompagna le sue parole con le mani e una voce indecifrabile, cangiante. A volte sottile, quasi fino a diventare stridula quando vuole mettere in evidenza un’espressione particolarmente buffa, o dolce quando allunga allusivamente certe sillabe. A volte roca, quando mima uno dei suoi personaggi più oscuri e credo più amati, il Mefisto di Goethe. Ride spesso, in maniera fanciullesca, giocosa, e mi verrebbe da dire anche un po’ civettuola.
CARLO: Sapete – dice con un pizzico d’orgoglio – son venuti qualche giorno fa due signori che eran stati a Siracusa a vedere la trilogia di Eschilo e loro son stati molto impressionati dagli spettacoli in sé ma mi han detto che non avevano niente a che fare col nostro livello.
IO: Beh, la spettacolarizzazione, così come la si concepisce oggi mette in primo piano delle altre cose… Io qui ho visto in primo piano l’attore, cioè la comunicazione…
CARLO: È il significato dell’opera che conta e non, come tanti fanno, la ricerca degli effetti. Che anzi distraggono! Io ho sempre pensato che la nostra situazione è l’unica che consente di fare un vero lavoro artistico perché si lavora sempre con la stessa gente, tanto a lungo quanto è necessario. Non vigono le restrizioni di tempo o di denaro che impediscono spesso un buon lavoro ai teatri stabili. Adesso stiam preparando il Faust, sapete? È una cosa meravigliosa e io vivo da qualche mese sopra le nuvole… son felicissimo! Goethe stesso dice che è un’opera incommensurabile, e che gioia che dà a noi, che citiamo tali pensieri. E poi lui in verità è così concreto, così modesto. C’è una cosa che dice più volte: “L’uomo, quando sente delle parole, e pensa di trovarvi anche dei pensieri…” perché spesso sono solo parole… Guardate, certi intellettuali sono una cosa tremenda! Come parlano in maniera totalmente incomprensibile e gli altri fingono di capire perché, ovviamente, nessuno ammette di non essere a quel livello… E allora parlano di niente in una maniera complicatissima! Io sono stato fortunato a crescere nel teatro di Brecht perché lui era veramente molto concreto e metteva la semplicità come massimo valore… E questo atteggiamento nei confronti dell’erudizione Goethe più volte lo deride... C’era proprio una insofferenza da parte di Goethe come lo era da parte di Brecht di questi che ciarlano, ciarlano...
Gli chiedo come nascono certe immagini dei suoi spettacoli, che mi hanno parecchio emozionato.
CARLO: Tutto nasce da una considerazione: che cosa si vuol far sentire al pubblico? Quella è la base. Poi pensi anche ai mezzi che hai e guarda che avere pochi mezzi è uno stimolo alla ricerca della forma espressiva, perché quando ne hai tanti fai quello che fanno i teatri stabili, cioè paghi e prendi quello che vuoi. Ti serve una casa nel bosco e compri la casa nel bosco, ti serve la stanza nel castello ed eccoti la stanza! Quando non hai soldi sei costretto a riflettere e a cercare di rendere con mezzi minimi e allora spesso arrivi a dei risultati artistici. Poi ti devo dire che io, a volte, quando ho una scena che devo risolvere in un certo modo e non la trovo, tracchete, la sogno! È il subconscio che continua a lavorare, lavorare e la mattina, appena sveglio, io subito a scrivere! Così, allora, anche il sonno mi aiuta, e io sono uno che dorme molto… anche per questo!
IO: Apprezzo davvero l’idea di questo teatro “fatto in casa”…
CARLO: Io non son disposto a spendere venti, trenta euro per andare a teatro. E credo sia scandaloso imporlo agli altri! Strehler aveva ragione. Bisognerebbe pagare a teatro quanto si paga per il cinema! Cinque, sei euro a biglietto… Io poi questa la intendo come una lezione di teatro a giovani della zona, che sono interessati ad approfondire. È per loro. Non tanto per lo spettacolo e questo perché, sai, qui non c’è una buona scuola e queste son pur sempre opportunità.
IO: C’è gente che spende migliaia di euro in stage…
CARLO: Ah sì! Questi stage che ti durano magari un week end, però sono intensissimi! Tu che diventi esasperato, ti viene il mal di testa, e credi di aver capito tutto e non hai capito niente, e crei soltanto degli equivoci! Perché in un week end cosa vuoi fare? Io mi son sempre rifiutato di fare dei seminari brevi. Sempre lunghi! Col Kismet ho lavorato sugli esercizi, come insegnante, per due anni, e dopo è nato il primo spettacolo!
Poi torna a quello che gli preme.
CARLO: Vedi, quello che è pericoloso oggigiorno per un artista è la vanità. Tutti questi artisti che vogliono mostrare quanto sono fantasiosi, e vanno alla ricerca degli effetti speciali, trascurando quello che è essenziale… Perché si fa teatro? Questa è la mia domanda! Si fa teatro, a mio avviso, per dare il proprio contributo, di carattere soprattutto emotivo, al trattamento di una certa problematica. Ci deve essere una problematica, perché altrimenti il teatro è frivolo, serve solo per distrarre, ha poco valore. E poi io trovo così faticoso far teatro... È anche un piacere, certo, io mi diverto molto durante le prove, vivo nelle prove! Però è molto faticoso e non sprecherei mai le mie energie per fare delle cose stupide, mai! Perciò se sentirai dire che Formigoni è datato, beh è per questo, perché tutti si adeguano a questa moda degli effetti, delle luci… guarda, io il teatro lo farei sempre con una luce diurna… Io sono ancorato a dei valori a cui non voglio rinunciare.
IO: Beh ormai il discorso estetico ha sopraffatto quello politico. La gente è attenta soprattutto al bello, o almeno a quello che la maggioranza percepisce come bello: tutti sempre giovani, impeccabili, scattanti, sempre al massimo... C’è come una battaglia fra verità e bellezza…
CARLO: Beh, sai, la bellezza è verità. Guarda, io mi commuovo, intrido il fazzoletto di lacrime, quando vedo i film del neoralismo italiano… E com’erano avanzati! Prendi Miracolo a Milano di De Sica, ci son tutti gli stilemi che sono stati ripresi dal teatro d’avanguardia. È veramente magnifico! Oppure Europa ’51 di Rossellini… Quel film per me è importantissimo, mi ha dato la spinta per andarmene di casa… L’ho visto una sera a Venezia e zam!, son partito…
IO: Questo fatto è straordinario! Non mi pare che oggi capiti più, come invece succedeva una volta, che un ragazzo legga il libro giusto, o veda il film giusto, e questo gli cambi completamente la vita, spingendolo a darsi una nuova direzione. Ci sono troppo stimoli, forse. Vieni bombardato.
CARLO: È vero. Ho visto ultimamente Luci della ribalta di Chaplin, un bellissimo film sulla vecchiaia, e guarda, c’era la pubblicità che distruggeva tutto, tutto! Anche Goethe parla di questo... dell’eccesso di stimoli che inibisce l’azione. Ma c’è Mefisto che dice: “Smetti di riflettere!” Io son scappato di casa che ero ancora minorenne e sono andato a Londra… ho lavorato, ho fatto la scuola d’arte drammatica, e poi sono andato a Berlino e questo senza l’aiuto di nessuno! Tutto questo ha richiesto una grande forza, perché lavorare a Londra per tre anni e mezzo senza un solo giorno di vacanza, insomma, è dura… Ma ero felice lo stesso! E tutto quanto è cominciato da un film di Rossellini.
Settembre 2009
sabato 17 gennaio 2015
tesseramento pietre vive 2015
Comincia la campagna di tesseramento dell’associazione Pietre Vive. Come già l’anno passato, l’associazione, invece della semplice tessera, offre ai suoi iscritti il Libro Soci 2015, composto da testi inediti dei suoi autori e illustrato, quest’anno, da Pierpaolo Miccolis,
uno dei migliori acquerellisti italiani, col suo catalogo di uccelli
gioiosi e inquietanti, spesso notturni, messaggeri del sogno.
Leggi il resto QUI.
venerdì 16 gennaio 2015
cose brutte da sentire
Che brutta cosa sentire le polemiche di certa gente che si lamenta nemmeno del metodo di liberazione di quelle due ragazze, ma solo per lo spreco di soldi. Politici che dello spreco hanno fatto una professione che parlano come se avessero diritto a farlo. È qualcosa che va persino oltre il cinismo, ma scava direttamente nel fango. E si invoca l'esempio di paesi con le palle sotto come l'Inghilterra o gli Usa. Minchia. Mi spiegate che orgoglio c'è a far parte di un Paese che non tutela i suoi cittadini, tutti, indistintamente, fino all'ultimo e con ogni mezzo? E poi, la cosa più ridicola di tutte, sentire la storiella che chissà se con quei soldi adesso si acquisteranno armi di morte contro l'Europa. Magari, mi viene da rispondere, se gli americani non gliele vendessero le armi ai terroristi, ci sarebbero già meno probabilità, vi pare?
giovedì 15 gennaio 2015
vanto
Se c’è un’espressione meridionale che proprio mi sta sul cazzo, perché la trovo stupida e arrogante, è: «ce me ne fotte a me», quando vuoi dire che non ti interessa nulla del problema dell’altro perché non tocca la tua sfera di interesse, e pare quasi che te ne fai un vanto.
mercoledì 14 gennaio 2015
ho detto «speriamo»
[...] Il protagonista principale è Kaputt, questo mostro allegro e crudele. Nessuna parola, meglio della dura, e quasi misteriosa parola tedesca Kaputt, che letteralmente significa «rotto, finito, andato in pezzi, in malora» potrebbe dare il senso di ciò che noi siamo, di ciò che ormai è l'Europa: un mucchio di rottami. E sia ben chiaro che io preferisco questa Europa kaputt all’Europa d’ieri, a quella di venti, di trent’anni or sono. Preferisco che tutto sia da rifare, al dover tutto accettare come un’eredità immutabile.
Speriamo ora che i tempi nuovi siano nuovi realmente, e non siano avari di rispetto e di libertà agli scrittori: poiché la letteratura italiana ha bisogno di rispetto, non meno che di libertà. Ho detto «speriamo» non già perché io non creda nella libertà e nei suoi beneficii [...], ma perché conosco, ed è di pubblico dominio, quanto sia difficile in Italia, e in gran parte d’Europa, la condizione umana, e quanto pericolosa la condizione di scrittore.
Curzio Malaparte, Kaputt, 1944, ed. Adelphi
Nota mia. Quando Malaparte parla di rispetto a me viene da pensare che buona parte degli scrittori italiani del secondo '900, complice il nostro sistema educativo, sono passati, in patria, e con pochissime eccezioni, sotto silenzio, o comunque trattati come autori minori o di nicchia, rispetto al panorama europeo, e non sempre per demeriti loro quanto piuttosto per un nostro inguaribile senso di inferiorità.
il seme della violenza
Magari semplifico troppo la questione, ma se al grido di "Je suis Charlie" difendiamo il diritto di chiunque, in uno stato pienamente laico, alla libertà di espressione, in qualsiasi forma e grado, anche se magari il messaggio è urticante o scomodo o volgare (proprio nello stile di Charlie Hebdo), allora, allo stesso grido, non dovremmo difendere anche il diritto di Dieudonné di lanciare le sue battute altrettanto provocatorie e antisemite: "Je suis Charlie Coulibaly"? O difendiamo tutti allo stesso modo, o allora qualcosa non funziona: ci sarà sempre qualcuno a possedere più libertà degli altri. A me, con le debite proporzioni, quella di Dieudonné ha ricordato tanto una dichiarazione fatta da Bob Dylan nel 1963, quando ricevette il premio di una nota fondazione americana per i Diritti Civili (gente impegnata, socialisti con le palle, mica scemotti qualsiasi), e lui sul palco, mentre ritirava il premio, dichiarò di sentire in lui molta della rabbia che probabilmente aveva provato Lee Harvey Oswald, che pochissimi mesi prima aveva sparato a Kennedy. I difensori dei Diritti Civili americani cominciarono a fischiare contro Dylan, a insultarlo, lo cacciarono via, ma era Dylan ad avere ragione. Non c'è vero cambiamento se non ammettiamo che il seme della violenza è dentro di noi prima ancora che nell'altro, un altro aspetto di quella cosa che un po' di tempo fa si chiamava pietà e che da un po' di tempo non trovo più nei discorsi di nessuno, nemmeno quando provano a mascherarla con termini un pizzico più democratici: diritti, parità, ragione ecc.
domenica 11 gennaio 2015
il buio l’amore la tosse e lo scolo
è tutta qui la nostra vita – mi ripete
Girgenti provata
immobile a letto con un libro – non altro
che un esame un altro ancora e poi
la notte – la notte
e poi più nulla. Non scappi – mi ripete.
Eppure – mio cactus – passa qui la bottiglia
ti mostrerò un modo
di confondere le tracce nella nebbia
dei suffumigi avernali.
Ciò detto – le sue ali fortissimo
un passero si sentì agitare.
Girgenti provata
immobile a letto con un libro – non altro
che un esame un altro ancora e poi
la notte – la notte
e poi più nulla. Non scappi – mi ripete.
Eppure – mio cactus – passa qui la bottiglia
ti mostrerò un modo
di confondere le tracce nella nebbia
dei suffumigi avernali.
Ciò detto – le sue ali fortissimo
un passero si sentì agitare.
venerdì 9 gennaio 2015
dieci
Allora, sono d'accordo che la laurea non è una cosa necessaria, sono d'accordo che vivere, viaggiare, far esperienze sia fondamentale alla crescita, sono d'accordo che solo provando, e sbagliando, s'impara; ma non credo né crederò mai che una persona che in vita sua non ha letto nemmeno un libro possa avere maggiore comprensione dei meccanismi del mondo di una persona che di libri ne ha letti dieci, o cento, o mille. E credo che chi lo dice non ha capito nulla, o se ha capito qualcosa, di certo non ha capito il mondo, ma solo una sua piccola parte.
barbablu
Ho fatto un sogno terribile. Aumentavano l’IMU a dismisura, al punto che diventava qualcosa di diverso, e così le cambiavano sigla in IPN, Ius Primae Noctis. Il commercialista allora mi chiamava incazzatissimo: “Svegliati Lillo, ti devi trovare una moglie, se no come la paghi l’IPN?” E lì mi incazzo anche io: “Ma se anche mi sposo va bene per il primo anno, quello dopo come faccio?” “L’anno prossimo si pensa!” mi risponde lui, “per ora cercatene una, mi raccomando!”
mercoledì 7 gennaio 2015
io sto con charlie hedbo
Io sto con Charlie Hedbo, come tutti, e sto con la satira e con la libertà di espressione, e con il potere della parola. Eppure mi dico attenzione. Fai attenzione a non farla diventare una battaglia di civiltà, dei buoni contro i cattivi, la guerra santa della moderna Europa contro l’Islam feroce e arretrato. Fai attenzione a non cadere in quella trappola che i giornali già ti stanno preparando, attenzione non rituffarti in un nuovo Medioevo così utile al loro scopo, e in cui non si discutono più i motivi, ma solamente si affilano i coltelli sordamente, con animo di rivalsa. La Francia è grande, così grande che vive di contraddizioni, pratica la libertà d’espressione però vive in uno stato multirazziale e pieno di contrasti irrisolti, di razzismo, è stata una sanguinaria potenza coloniale ma sostiene ancora la chiusura del Mediterraneo agli immigrati africani. Non è una terra di libertà a tutti i costi più di quanto lo siano stati altri moderni stati islamici. Il fanatismo avanza, questo è vero, ma perché? Dove si origina quest’odio? Su quale terra di confine? A vantaggio di chi? Così mi dico stai attento, a non confondere la libertà d’espressione col vessillo di un sistema di vita più giusto, migliore, perché l’Europa che oggi piange è tutt’altro che giusta, ed è in quell’ingiustizia che si genera l’odio, è lì che vanno cercati i motivi del gesto, e non solo nel fanatismo di una religiosità bigotta. Resisti alla tentazione, non puntare il dito, tieni gli occhi aperti. Scrivi ciò che vedi e non ciò che senti. Resta umano.
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equivoco
Conosco gente che quando dico VAFFANCULO se la prende con me, ma giuro che è tutto un equivoco: non sono io che ce li sto mandando, sono loro che ce l’hanno scritto in fronte e io leggo ad alta voce.
sabato 3 gennaio 2015
odio
Odio quando il mondo mi costringe a uscir di casa, persino per andare in posta. E dire che, complice la neve, mi stava riuscendo l'impresa di farmi le due settimane di Natale in completo letargo e senza l'assillo di gestire i contatti col resto della feccia umana. Scriveva Frank Zappa nella sua autobiografia: “Nella lotta fra te e il mondo, stai dalla parte del mondo”. Per forza. Bene o male, comunque vada, vince sempre il mondo. Se sei un pochino furbo, non ti metti certo a sfidare i mulini a vento. E Zappa aveva capito proprio tutto, a cominciare dalla radice dello scazzo.
giovedì 1 gennaio 2015
messaggio di capodanno
vabbè basta ho deciso l'anno che viene me ne frego di fregarmene delle feste e per natale me ne vado all'estero anche io a cuba con gianni morandi oppure in india a cavalcare elefanti così vi mando le mie cartoline in costume sigaro e baschetto rosso oppure mentre cavalco gli elefanti o sniffo merda di elefanti arrotolata nella canapa indiana e voi vi sckiattate tutti d'invidia a immaginarmi al calduccio nel terzo mondo mentre voi qui il solito natale col panettone e lo spumantino e le lenticchie e napolitano a farvi i selfie mentre vi rotolate nella neve per fare i giovani e poi scrivete post sui social in cui vi lamentate della neve perché se c'è la neve allora non siete nemmeno liberi di andarvene dove volete oppure illudervi di stare a cuba o in india guardando le foto degli altri perché fa troppo freddo pure per sognare
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