Paolo Giannoccari mi diceva sempre una cosa: “Io ti rispetto perché sei comunista però con me, che sono democristiano, ci parli lo stesso”. In verità con Paolo non si riusciva tanto a parlare, faceva tutto lui. Ti vedeva arrivare da lontano sul corso, ti chiamava con foga, e tu potevi solo sederti sulla stessa panchina e aiutarlo a passare una mezzora della sua lunga giornata da pensionato. Paolo, a essere giusti, era una persona buffa, a volte stralunata, e spesso un gran rompipalle. Soffriva da anni di diversi problemi, ma anche così Paolo non si arrendeva, pieno di entusiasmo e ingenuità senza rimedi, ancora studiava, si impegnava, lui che si riteneva un illetterato, e aveva fondato un gruppo di azione locale per fare, a modo suo, politica attiva nel suo paese. A modo suo era un estremista. Credo che nessuno si scorderà mai quella volta che, lui che faceva il postino, bloccò per protesta lo sportello dell’ufficio postale, nessuno poteva più spedire lettere, pagare le bollette. Arrangiava, con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, ma sempre in maniera onesta. La verità è che Paolo Giannoccari ci credeva davvero nella politica, e a quel credo che era tutto ciò che gli restava insieme alla famiglia, aveva dedicato la parte migliore di sé.
Paolo è morto oggi, davanti a casa sua, mentre tornava dall’ennesimo ricovero ospedaliero. È morto nella piazzetta dove ha passato un po’ in disparte gli ultimi anni. Di quei pomeriggi insieme sulla panchina non mi scorderò mai le sue lunghissime, estenuanti, relazioni che preparava per ipotetici incontri da farsi con tutte le forze politiche, anche con noi “comunisti”, perché per lui, uomo solo, il dialogo, lo scambio, erano cose fondamentali. L’ultima di queste relazioni, che non ha fatto in tempo a leggere a nessuno, riguardava l’accoglienza agli immigrati, la necessità di riscoprire un vero senso di carità cristiana per queste persone arrivate qui dal mare, senza più nulla. Ripensando all’incapacità di dialogo e all’arrivismo delle forze politiche che oggi devastano l’Italia, direi che, pur arrangiando con tutti i suoi limiti, quel piccolo democristiano illetterato, per cui nessun altro scriverà un epitaffio, era molto più avanti, nel cuore, di tanti di loro.
Paolo è morto oggi, davanti a casa sua, mentre tornava dall’ennesimo ricovero ospedaliero. È morto nella piazzetta dove ha passato un po’ in disparte gli ultimi anni. Di quei pomeriggi insieme sulla panchina non mi scorderò mai le sue lunghissime, estenuanti, relazioni che preparava per ipotetici incontri da farsi con tutte le forze politiche, anche con noi “comunisti”, perché per lui, uomo solo, il dialogo, lo scambio, erano cose fondamentali. L’ultima di queste relazioni, che non ha fatto in tempo a leggere a nessuno, riguardava l’accoglienza agli immigrati, la necessità di riscoprire un vero senso di carità cristiana per queste persone arrivate qui dal mare, senza più nulla. Ripensando all’incapacità di dialogo e all’arrivismo delle forze politiche che oggi devastano l’Italia, direi che, pur arrangiando con tutti i suoi limiti, quel piccolo democristiano illetterato, per cui nessun altro scriverà un epitaffio, era molto più avanti, nel cuore, di tanti di loro.